Napoli. Risvegliato dalla pistola della Digos
Ci siamo fermati a fare due chiacchiere ed Elia mi ha subito colpito per la sua cultura e la sua sensibilità.
Oltre che per la sua passione politica. Ovviamente, di fede comunista, tendente all’anarchico.
È un ragazzo poco più che ventenne, Elia. Un giovane compagno dai lineamenti dolci e dall’aria tranquilla.
Ma determinato e dal carattere deciso. Già indurito dalla vita e poco incline a fare sconti a quel sistema che vorrebbe rubargli il futuro.
Lui, insieme ai suoi colleghi, studenti dell’Accademia di Belle Arti di Napoli, avevano, 35 giorni orsono, occupato la loro Università.
Rivendicavano non solo il diritto allo studio, oramai penalizzato, quasi fisiologicamente, da un anno di pandemia. Ma soprattutto il diritto alla vita.
Quella vita che il Moloch del mercato, con il volto insanguinato del Profitto, sta sottraendo a tanti, troppi giovani.
Ancor di più, sembrerebbe, agli studenti di quelle Belle Arti che, nel paese di Michelangelo, Brunelleschi, Dante, Eduardo, Paganini, saranno oramai condannati all’invisibilità.
Invisibili in un paese che ha proceduto, negli ultimi quarant’anni, ad una desertificazione culturale tale da portare il livello di maturità emotiva, artistica e intellettuale dei propri cittadini fino all’anoressia del pensiero e della coscienza critica.
Un paese che non legge ma guarda Pornhub. O peggio Non è la Durso…
Un paese che continua sempre più a virare a destra, soprattutto nelle sue frazioni “sinistre”.
Un paese che ha fatto della repressione, della galera e della criminalizzazione del dissenso il suo Credo.
E di questa indegna cultura securitaria e criminalizzante, abbracciata con ardore anche dagli pseudo intellettuali di sinistra, e dai professori dell’Accademia, hanno fatto le spese i giovani studenti che occupavano il complesso universitario.
Sgomberati l’altra mattina dalla Digos. Con i soliti metodi da Dina cilena.
E ne ha fatte le spese Elia. Che rischia di pagare un prezzo troppo alto alla sua giustissima, appassionata, orgogliosa contestazione.
Contestazione collettiva che, ricordiamolo, contemplava anche la denuncia, da parte di tante studentesse – ieri incazzate ed in corteo dopo lo sgombero – delle molestie subite da uno dei docenti. Il regista napoletano Stefano Incerti.
Noto nell’ambiente accademico e cinematografico per questo suo, come dire, vizietto.
Denuncia che s’indirizza anche verso l’ambiguità di gran parte del corpo docente.
Il quale, di fronte alle molestie subite da una studentessa che ha a sua volta denunciato il noto regista/professore, ha tenuto un atteggiamento inaccettabile.
Fino ad arrivare a dichiarare, al momento delle indagini aperte dalla magistratura inquirente – che hanno necessariamente costretto la direzione dell’Accademia a sospendere Incerti – «Abbiamo perso un grande professore».
Una frase che si commenta da sé.
Incerti è stato poi scagionato. Ma è solo la verità giudiziaria. Che va sempre come va….
Orbene, vi lascio al racconto di Elia. Che ci descrive il momento dello sgombero avvenuto l’altro ieri all’alba.
Buona lettura!
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Ieri, al 35esimo giorno di occupazione in cui dormivo in Accademia, siamo stati svegliati da 40 Digos che hanno fatto irruzione in accademia, attuando uno sgombero coatto.
Sono stato circondato da 10 Digos attorno al letto dove dormivo, puntandomi telecamere e torce in faccia e chiamandomi per nome e cognome.
Quando ho aperto gli occhi, la prima cosa che ho visto è stata la fondina con la pistola e la telecamera.
Lì ho realizzato che, a differenza delle altre mattine, non erano i compagni a svegliarmi.
“Sveglia Gargiulo, mani in alto, spostati“.
Mi alzo da letto ed alzando le mani rispondo “sono innocuo, mi sono appena svegliato, proviamo a fare gli artisti qua dentro… E sono in mutande!“.
La mia risposta tragicomica non lascia trasparire la crisi che stavo avendo in quel momento: dovermi rivestire con una telecamera addosso, sentire la pressione di 10 Digos che sai benissimo cosa stanno per fare, sei consapevole di quello che sta per succedere e tremi, ti immobilizzi, non riesci a mettere i vestiti.
“Gargiulo, il telefono grazie“, mi dice uno degli ufficiali.
Mi viene impedito qualsiasi contatto con l’esterno che in quel momento mi sarebbe stato fondamentale.
Scendo scortato e mi rendo conto che l’Accademia era piena di forze dell’ordine che seguivano i miei compagn* per l’identificazione.
Vengo filmato contro un muro documento alla mano e mi viene fatta firmare la copia della denuncia.
I reati di cui vengo accusato sono gli articoli 633, 635, 639 bis e 170: Occupazione, uso improprio di bene culturale, danneggiamento e vandalismo.
Abbiamo occupato un bene culturale, un bene culturale che dovrebbe essere fruibile e comune, al cui interno vi sono una gipsoteca e la sala Palizzi, chiusi ormai da anni.
Uno spazio chiuso da un anno che veniva negato all* student* a causa di ritardi nella gestione della pandemia.
Uno spazio dove ci è stato detto che il giardino non era agibile, il teatro non era agibile, i laboratori necessitavano di un piano rientri non esistente ed infine aule chiuse non fruibili come aule studio.
La Digos ha anche preteso le chiavi dell’Aula Giuliani, che è stata di fatto sgomberata anch’essa, probabilmente l’unica certezza che avevamo ottenuto in questi 35 giorni di occupazione.
“Uso illecito di un bene culturale” perché abbiamo riaperto un bene culturale per (appunto) farlo tornare ad essere uno spazio in cui si fa arte, cultura, politica ed autoformazione.
Questa accusa è gravissima ed in alcuni casi prevede anni di carcere.
Non vi sembra assurdo ed anche incoerente accusarci di tutto ciò?
Danneggiamento e vandalismo per aver riaperto un teatro che verte in condizioni strutturali pessime e per aver eseguito un’opera al terzo piano che vede protagonisti i corpi delle studentesse molestate.
Opera eseguita su un muro su cui erano presenti scritte decennali di Casapound, Forza Nuova, frasi goliardiche a sfondo sessuale, insulti sessisti e disegni di vario tipo.
Vi fanno davvero così paura quei corpi? Vi fa davvero così paura l’arte quando non è bella (perché, parliamoci chiaro, smettiamola di dire che l’arte è solo bello perché non lo è)?
Vi fa paura quando vi si incide sulle mura di un’istituzione la violenza che avete perpetuato per 10 anni? Allora beh, siamo tutt* vandal*.
Non saranno le denunce a fermarci, non saranno le intimidazioni subite a farci fare passi indietro, non sarà la direzione che non ci ascolta ma anzi saranno motivo in più per alzare la posta in gioco, per farci sentire e per portare avanti un percorso di lotta che è appena iniziato.
DENUNCIAT* PER AVER DENUNCIATO LA VIOLENZA!
DA CONTROPIANO