Nove mesi di carcere per 30 euro, l’assurda storia di Francesca Cerrone
Ha fatto nove mesi di galera gratis tra Spagna e Italia, Francesca Cerrone, anarchica accusata di associazione sovversiva finalizzata al terrorismo. Lunedì sera la corte di assise di Roma l’ha scarcerata dopo che la Cassazione, ribaltando le decisioni del gip e del Riesame, aveva spiegato che non c’era motivo di far scattare le manette perché non c’erano gravi indizi e perché l’imputazione faceva acqua da tutte le parti. La Cassazione rimandava indietro le carte al Riesame per una nuova udienza. Cerrone restava in cella per un cosiddetto reato fine, il furto di tre sacchi di cemento, valore complessivo trenta euro.
A quel punto l’avvocato difensore Ettore Grenci si rivolgeva alla corte di assise ottenendo la liberazione senza nessun obbligo cautelare. Ma non è questa l’unica decisione che ridimensiona l’operazione Bystrock sfociata negli arresti del giugno dell’anno scorso. La Suprema Corte infatti ha rimandato al Riesame annullando con rinvio le ordinanze di custodia cautelare in carcere per altri quattro militanti che restano detenuti in attesa del giudizio bis. «L’atteggiamento antagonista e di esacerbata contrapposizione all’autorità costituita non è anche idoneo a concretare la finalità di terrorismo» scrivono i giudici citando la giurisprudenza della Corte Costituzionale secondo cui non basta l’astratta adesione a una ideologia per supportare l’accusa relativa all’articolo 270 bis.
Del resto la Cassazione già in altre occasioni aveva messo dei paletti ben precisi per la contestazione dell’associazione sovversiva. Al punto da azzerare in pratica l’indagine del pm bolognese Stefano Dambruoso dando ragione al Riesame che aveva liberato tutti gli arrestati. Va ricordato che sia l’operazione romana sia quella bolognese sono state citate come “successi investigativi” dalla recente relazione annuale dei servizi di sicurezza nonostante i flop di cui però i giornaloni hanno scritto poco e niente. Le notizie sul caso Cerrone si fermano per esempio all’arresto e all’estradizione dalla Spagna evidentemente un altro “successo” degli inquirenti. La Cassazione rileva che gli indagati si sono resi protagonisti di episodi di assembramenti non autorizzati, porto di oggetti atti a offendere, travisamenti, imbrattamenti di muri con scritte che incitano alla violenza, incendi, danneggiamenti, diffusione di volantini. Insomma il terrorismo è altra cosa.
«La rabbiosa conflittualità ambiguamente evocata nel documento “Dire e se dire” sembra essersi materializzata in comportamenti che pur illeciti hanno mantenuto una connotazione essenzialmente dimostrativa e solidaristica» aggiunge la motivazione che rispedisce al Riesame le carte ridicolizzando il passaggio in cui i giudici territoriali si aggrappavano persino alla «potenzialità sovversiva» della musica Hip-Hop. Le manifestazioni inquisite erano tutte incentrate sulla solidarietà con i reclusi alle prese con l’emergenza Covid. In occasione del sit in di Bologna i dimostranti avevano le mascherine e rispettavano la distanza di un metro. “Terroristi”.