4 settembre 8:30: presidio davanti al Tribunale di Torino in solidarietà agli studenti e alle studentesse atifasciste di Torino a cui sono state comminate misure cautelari per i fatti del 13 febbraio 2020. Qui l’indizione dell’iniziativa, promossa dalle Mamme in piazza per la libertà di dissenso
Di seguito alcune lettere degli studenti e delle studentesse colpit* dalle misure
COSTI QUEL CHE COSTI, É GIUSTO CACCIARE I FASCISTI!
Qui sotto qualche pensiero di Daniele, un lavoratore e studente di Scienze Storiche, che dal 23 luglio è sottoposto al divieto di dimora dalla sua città!
“Dopo circa un mese di misura cautelare, nel mio caso divieto di dimora dal comune di Torino, sento ora l’esigenza di esprimere la mia opinione su quanto avvenuto al campus e alla palazzina Einaudi nelle giornate del 13 e del 14 febbraio scorso e sulla successiva operazione di polizia che ha colpito diversi studenti e studentesse.
Per prima cosa vorrei presentarmi: sono uno studente lavoratore iscritto regolarmente al secondo anno della magistrale di Scienze Storiche, presso l’Università degli Studi di Torino.
In questa città sono nato 27 anni fa, qui ho svolto il mio percorso di studio e sempre in questa città ho iniziato con i primi lavori e lavoretti; qui vive tutta la mia famiglia, i miei parenti, i miei amici e le mie amiche. A parte un anno passato in Spagna per motivi di studio, Torino è sempre stata la mia casa, la mia città.
Ad oggi purtroppo le cose sono un po’ più complicate: ora posso tornare a Torino soltanto negli orari di lavoro e “ … per il tempo strettamente necessario a provvedere a tali incombenze.” Così cita l’autorizzazione della giudice. Nella follia della situazione questa è l’unica cosa positiva, almeno mi permettono di provvedere al mio sostentamento privilegio che per altro, ad altri studenti e studentesse nella mia situazione, non è stato concesso. Ma procediamo con ordine, torniamo a quelle fatidiche giornate in università che sono state la causa di queste misure cautelari.
Il 13 febbraio l’Università, e in particolare il rettore Genua, autorizzò lo svolgimento al Campus Einaudi di un interessante dibattito organizzato dall’A.N.P.I. intitolato “Fascismo Colonialismo e Foibe”, contemporaneamente autorizzò anche un provocatorio volantinaggio del F.U.A.N., gruppuscolo neofascista praticamente inesistente all’interno dell’università e costola giovanile del partito Fratelli d’Italia. Per permettere il sereno svolgimento del volantinaggio (notare bene non dell’incontro precedentemente organizzato) venne avvertita anche la Questura di Torino che, solerte, schierò reparti di polizia e personale della D.I.G.O.S. a difesa dell’intrepida gioventù del F.U.A.N..
Giustamente i fascisti vennero contestati e allontanati da studentesse e studenti e quando finalmente furono scortati fuori, in un eccesso di zelo e professionalità, le Forze dell’Ordine (sic!) pensarono bene di disperdere i manifestanti con pesanti e violente cariche e non contenti effettuarono anche tre arresti. Mi pare chiaro che se l’obbiettivo era quello di mantenere l’ordine e il sereno svolgimento di un interessante iniziativa, utile per altro alla memoria storica di questo paese, Università e Questura di Torino fallirono miseramente. Un’ultima cosa per me importante su quella giornata, avrei tanto voluto esserci ma purtroppo non c’ero.
Il 14 febbraio ci radunammo al Campus Einaudi, questa volta ero presente. Il giorno prima ero a lavoro e avevo seguito in diretta gli aggiornamenti sulla situazione, i fasci all’università, le cariche, gli arresti, ero furente. Da studente di Storia e da persona attenta alle vicende del mondo, presenti e passate, non ho mai accettato la retorica “democratica” per la quale c’è spazio per tutti, che anche chi professa odio, razzismo, discriminazioni in base al genere o all’orientamento sessuale e si definisce “figlio sano del patriarcato” ( ve lo giuro lo sostengono!) ha diritto a dire la sua, tanto meno penso debba essere accettato in università, luogo almeno in teoria deputato al dibattito, alla conoscenza, alla scienza e alla cultura.
In ogni caso il 14 febbraio c’ero anche io, ed ero molto motivato. Andammo in rettorato a chiedere conto dell’accaduto, volevamo che il rettore si prendesse le sue responsabilità, che spendesse due parole sui fatti del giorno prima, che ci mettesse la faccia. Ovviamente ciò non avvenne, il rettore non c’era. Ci dirigemmo allora alla Palazzina Einaudi in corteo e sempre in corteo restituimmo alla collettività l’aula che era stata vergognosamente assegnata al F.U.A.N.. Ovviamente dell’italico valore dei nostalgici del Ventennio neanche l’ombra, nessun camerata a presidiare la preziosa auletta. Per la verità nessuno si frappose tra noi e il nostro obbiettivo. Nonostante tra i capi d’imputazione presenti negli atti vi sia l’ art. 336 c.p., violenza o minaccia a pubblico ufficiale, non minacciammo o usammo violenza verso nessuno, semplicemente un’aula prima chiusa e inutilizzata da un partitello neofascita tornava ad essere disponibile per tutt*.
Queste due giornate di lotta hanno significato molto per chi le ha vissute e non solo, sono state testimonianza della volontà precisa di molte studentesse e studenti di esprimere il loro dissenso verso l’ideologia fascistoide del F.U.A.N. e l’ipocrisia dell’istituzione Università e di tutti coloro che si risvegliano antifascist* soltanto il 25 aprile, mentre per il resto dell’anno non hanno problemi ad avere a che fare e dare spazio ad organizzazioni di stampo fascista. Quelle belle giornate oggi ci stanno costando care: tre studenti sono agli arresti domiciliari, sette hanno il divieto di dimora dalla città di Torino, altr* l’obbligo di firmare quotidianamente negli uffici della P.S. e altr* ancora sono stat* solo denunciati. Vi risparmio il resoconto delle assurde accuse, delle false testimonianze e delle ricostruzioni dei fatti decisamente arbitrarie. Vorrei solo sottolineare che ad oggi sono praticamente confinato fuori dalla mia città sulla base di un filmato nel quale mi si vede entrare con il corteo nella palazzina Einaudi e di un altro nel quale sono ripreso appoggiato allo stipite della porta della “famosa” auletta. Il concorso in un medesimo intento criminoso è evidente! Nessun’altra prova. Questo è sostanzialmente l’incredibile lavoro di polizia che è stato fatto, sulla base di questo genere di informazioni la giudice Alessandra Pfiffner ha firmato le misure cautelari di cui sopra. Anche fossi un convinto sostenitore della legalità e del Diritto, sarei comunque disgustato dal lavoro svolto da questura e magistratura.
Per quanto riguarda l’Università e il rettore, spero che si esprimano al più presto in merito alla faccenda e che si assumano le loro responsabilità.
Noi che oggi paghiamo il prezzo di quelle giornate non abbiamo avuto paura a metterci la faccia e sono certo che saremo tutt* dispost* a farlo di nuovo perché, costi quel che costi, è giusto cacciare i fascisti e tutto ciò che rappresentano dalle università e perché su queste cose l’ipocrisia istituzionale è inaccettabile e vergognosa.
Un saluto ed un abbraccio solidale a tutte le persone colpite da misure cautelari.
Libertà per gli studenti e le studentesse antifascist*!
QUANDO É L’AMORE A MUOVERE LE DECISIONI É IMPOSSIBILE SBAGLIARE!
Qui la lettera di Roberta, una studentessa che lo scorso 13 febbraio non si è tirata indietro alla presenza dei fascisti dentro l’università e per questo da un mese non può rientrare nella sua città!
Robi libera, liber* tutt*!
Sono passate più di due settimane da quando la questura mi ha imposto il divieto di dimora da Torino per i fatti avvenuti questo inverno in università: il 13 febbraio un gruppetto sparuto di fascistelli distribuiva volantini contro un evento organizzato dall’Anpi al Campus Einaudi, in tantissimi studenti e studentesse abbiamo deciso di non accettare una simile provocazione e, come si dice, il resto è storia (per maggiori informazioni sulla giornata rimando a https://www.facebook.com/CuaTorino/posts/3760102807339341?__tn__=K-R).
Sugli atti che spiegano e giustificano il mio allontanamento da Torino c’è scritto, con tono decisamente paternalistico, che stare nella mia città mi istiga a delinquere e per questo devo essere allontanata.
Io sono nata e cresciuta a Torino e nei miei 22 anni non ho mai vissuto altrove. Vivo con i miei genitori e i miei due fratelli, frequento l’università di Torino da tre anni e sto per laurearmi, nei miei progetti c’era di continuare la specialistica nella mia città, mai ho preso in considerazione l’idea di spostarmi.
Sono cresciuta davanti al parco della Tesoriera, ho studiato con passione la storia della Mole Antonelliana e di tutti i monumenti che sorgono sotto di essa, ho visitato ogni angolo con lo stupore di una bambina. Quando ho iniziato il liceo il mio amore per Torino si è trasformato in passione: mi sono sentita parte integrante della città e ho sentito il bisogno di attivarmi in prima persona per rendere migliore il posto in cui vivo.
La questura sta tentando d’isolarmi, m’impone di “cambiare aria” e di allontanarmi dal luogo dove sono nata, eppure io mi sento parte attiva della comunità di Torino da quando ho iniziato a respirare. Ho sempre fatto tutto ciò che era in mio potere per aiutare chi incontravo lungo la mia strada, come quando qualche mese fa, quando tutti abbiamo dovuto stringere i denti e combattere il Covid, mi sono attivata per sostenere le persone in difficoltà prestandomi a fare la spesa e piccole commissioni, o come quando ho difeso famiglie con minori sotto sfratto in gravi condizioni economiche, o ancora più indietro nelle lotte studentesche contro i tagli alla scuola pubblica, fino ad arrivare al 13 febbraio di quest’anno in cui ho provato ad allontanare i fascisti, con la loro propaganda razzista e sessista, dall’università dove studio. Tutto questo è sulla stessa linea che guida le mie scelte di vita, l’amore che mi spinge a compiere queste azioni è lo stesso che provavo da bambina quando pensavo che il bünet fosse il cibo più buono del mondo.
Non è mia intenzione piangermi addosso, rifarei esattamente quel che ho fatto, non mi stupiscono affatto le ripercussioni della questura, ma solo l’assurdità della misura.
Non ho più una casa, non posso più andare a trovare i membri della mia famiglia, tutti residenti a Torino, né recarmi nella mia università, e francamente non riesco a vedere nessuno scopo vagamente rieducativo in una misura del genere, come invece tengono a sottolineare negli atti, ma solo punitivo. Non ho un reddito e la mia condizione economica non mi permette di mantenermi altrove, motivo per cui qualche giorno dopo il mio esilio ho deciso di provare a chiedere un tramutamento delle misure cautelari da divieto di dimora in firme giornaliere in commissariato (misura che hanno alcuni dei miei coimputati), ma il giudice ha respinto questa richiesta: ancora una volta un maschio bianco e ricco si trova completamente a suo agio nel decretare sentenze su come una ragazza dovrebbe vivere la sua vita. Di nuovo tutto sommato non mi stupisco.
Il mio pensiero adesso va all’aula autogestita C1, che, in seguito all’operazione di polizia, è stata messa sotto sequestro, senza nessun motivo. Chi frequenta il Campus Einaudi sicuramente almeno una volta è entrato in quell’aula per scaldarsi il pranzo, per chiacchierare con i compagni di corso tra una lezione e l’altra, per trovare un posto dove studiare quando le biblioteche sono piene o quando si ha voglia di fare qualche pausa in più. Nei miei tre anni da studentessa lì ho partecipato a dibattiti, proiezioni di film e feste e ho capito che l’università non è solo un posto dove prendere appunti e sostenere esami ma anche un luogo di confronto e di crescita personale. La parete davanti all’ingresso ha una scritta grossa che recita “il sapere non è fatto per comprendere ma per prendere posizione” e ora più che mai ne capisco il significato. Lì ho conosciuto tante persone e stretto legami fortissimi. In un momento in cui gli studenti sentono ancora più forte il bisogno di vedersi e confrontarsi dopo mesi di didattica a distanza, non solo non ci si preoccupa di trovare soluzioni alternative alla modalità online, ma viene addirittura permessa la chiusura dell’unico spazio di socialità che vi era rimasto. Nella speranza di poter ritornare presto a Torino mi auguro che l’aula C1 venga riaperta il prima possibile.
Con tutta la serenità che mi contraddistingue posso dire che, a distanza di mesi, sono convinta di ciò che ho fatto il 13 febbraio, so di essere nel giusto e che le scelte che ho fatto e che faccio sono totalmente coerenti con la mia vita. Quando è l’amore a muovere le decisioni è impossibile sbagliare.
Roberta