«Detenuti picchiati tra le risate». Indagato anche il direttore: «Sapeva ma nascose tutto»
TORINO. C’è un’inchiesta che scuote il carcere «Lo Russo e Cutugno» di Torino. Che racconta gli orrori che tra marzo 2017 e settembre 2019 si sarebbero consumati nei corridoi, nelle celle e negli spazi comuni dell’istituto. Con 21 agenti della polizia penitenziaria indagati per il reato di tortura. Con un direttore (anche lui indagato) che aveva ricevuto le denunce e avrebbe taciuto, consapevolmente. E – infine – con un comandante del personale che avrebbe addirittura fabbricato dossier falsi per «coprire» le condotte inumane dei suoi sottoposti.
Un’intera scala gerarchica avrebbe cercato di tacitare le precise segnalazioni che Monica Gallo, il garante dei diritti dei detenuti di Torino, aveva fatto dopo aver visitato i carcerati. «Numerose volte» scrive il pm Francesco Pelosi, titolare dell’inchiesta, si era rivolta al direttore Domenico Minervini per chiedere un intervento. Quest’ultimo invece «aiutava gli agenti a eludere le indagini dell’autorità omettendo di denunciare i fatti di cui era venuto a conoscenza». Che per i magistrati rappresentano «trattamenti inumani e degradanti». Torture. Da ieri ci sono le prime «carte» inviate ai legali degli imputati con l’avviso di chiusura indagini. Gli investigatori hanno ricostruito più di venti episodi di violenze inaudite e inaccettabili.
Una lista nera: «Picchiavano e ridevano” scrive la procura nel capo di imputazione di alcuni agenti. Calci, pugni sputi. Come nel caso di Amadou Ibrahim, detenuto, pestato dentro la cella da tre agenti mentre due secondini facevano il palo sull’uscio per accertarsi che nessuno vedesse. A Diego Sivera, altri colleghi «cagionavano acute sofferenze fisiche e un trauma psichico». Lo hanno costretto a rimanere in piedi nel corridoio della sezione a cui era assegnato per 40 lunghissimi minuti. Insultato e costretto a ripetere: «Sono un pezzo di merda». Sono entrati diverse volte nella sua cella «eseguendo perquisizioni arbitrarie, gettandogli i vestiti per terra, strappandogli le mensole dal muro, spruzzando detersivo per piatti sul suo materasso». Poi di nuovo pugni sulla schiena e schiaffi «indossando rigorosamente i guanti» annota il pm.
Altri colleghi dopo aver accompagnato il detenuto Daniele Caruso in infermeria, gli urlavano: «Figlio di puttana, ti devi impiccare». Gli hanno rotto il naso, rischiato di sfondare l’orbita di un occhio, spezzato di netto un incisivo superiore.
E’ capitato che dopo un pestaggio due secondini abbiano avvicinato la vittima minacciandola: «Se ti visiteranno per le lesioni – questo il senso del messaggio – devi dire che ti ha picchiato un altro detenuto». Altrimenti – chiosa la procura – «avrebbero usato nuovamente violenza su di lui di fatto costringendolo, il giorno dopo, a rendere dichiarazioni false ai sanitari».
A Daniele Caruso è andata peggio: «dopo averlo ammanettato e bloccato a terra in attesa che venisse eseguito nei cuoi confronti un Tso, lo colpivano ripetutamente con violenti pugni al costato e, mentre Caruso urlava per il dolore, loro ridevano». Due sindacalisti dell’Osapp sono indagati per rivelazione di segreto d’ufficio. Sono Gerardo Romano e Leo Beneduci. Grazie alle loro «soffiate» il comandante della polizia penitenziaria del carcere Giovanni Battista Alberotanza, aveva saputo di avere il cellulare sotto controllo nell’ambito di un’inchiesta sui pestaggi in carcere.
Lui stesso «Aiutava gli agenti Dario Celentano, Francesco Piscitelli, Luigi Longo, Gianluca Serafino, benedetto Demichelis, Simone Battisti e altri colleghi, ad eludere le investigazioni dell’Autorità, omettendo di denunciare i pestaggi e le altre vessazioni e conducendo un’istruttoria interna dolosamente volta a smentire quanto accaduto».
Dalla Stampa