La famigerata precarietà delle condizioni del sistema penitenziario, con ambienti con alto grado di insalubrità, proliferazione di malattie, sovraffollamento, assistenza sanitaria e cure inadeguate è ulteriormente aggravata dalla pandemia di COVID-19, con un alto rischio di contagio.
Nello specifico documento dedicato alle carceri, “Preparazione, prevenzione e controllo di COVID-19 nelle carceri e in altri luoghi di detenzione”, la Organizzazione mondiale della sanità (OMS) spiega che le condizioni di confinamento nel sistema carcerario elevano il rischio di contagio, riducendo l’accesso alle risorse disponibili di prevenzione e cura in caso di infezione. Allo stesso modo, la subcommissione delle Nazioni Unite per la prevenzione della tortura (SPT) sottolinea la vulnerabilità al nuovo Coronavirus, in particolare delle persone private della libertà.
La Commissione interamericana per i diritti umani (IACHR) nel suo recente comunicato datato 31 marzo 2020, sottolinea l’iniziativa del Consiglio Nazionale di Giustizia (CNJ) sulla Raccomandazione 62/20, che tratta le misure preventive al COVID-19 nel sistema penitenziario e socio-educativo in Brasile. Oltre al Programma di sviluppo delle Nazioni Unite (UNDP) si riconoscono come buone pratiche, da adottare in altri paesi, le iniziative della CNJ.
Cercando di standardizzare le misure preventive al fine di combattere la diffusione del COVID-19 nel sistema penitenziario e socio-educativo, una delle principali misure internazionali raccomandate dalla circolare 62 della CNJ è la riduzione della sovrappopolazione, in particolare, la diminuzione degli ingressi nel sistema e il rilascio di prigionieri condannati per reati meno gravi o senza violenza. L’adozione di misure alternative e, soprattutto, la concessione degli arresti domiciliari ai gruppimaggiormente arischio , come anziani, donne in gravidanza e persone con patologie croniche, immunodepressive, respiratorie e altre comorbidità preesistenti che possono aggravare lo stato generale di salute in caso di contagio, con particolare attenzione a diabete, tubercolosi, malattie renali, AIDS e coinfezioni.
La stessa Commissione, ripetutamente e conformemente ai suoi Principi e buone pratiche per la protezione delle persone private della libertà nelle Americhe, ha ribadito che gli Stati sono tenuti a garantire i diritti delle persone private della libertà. Vale a dire rispetto e garanzia di vita, salute, integrità, diritti fondamentali e condizioni minime compatibili con la dignità delle persone private della libertà.
Nel quadro di vulnerabilità della popolazione carceraria e della profonda precarietà delle loro condizioni di salute e igiene in sitiazione di pandemia, gli Stati sono responsabili delle azioni di prevenzione e informazione, nonché delle misure restrittive di arresti e di liberazione di prigionieri che scontano la pena negli ordinamenti nazionali. Questa è la posizione dell’OMS, delle Nazioni Unite, della IACHR e della CNJ, che sottolineano l’importanza della riduzione della popolazione carceraria in combinazione con la prevenzione e la cura fisica e mentale delle persone private di la libertà.
La condizione notoriamente malsana delle carceri in Perù ha recentemente provocato una rivolta contro le condizioni precarie delle persone private della libertà a fronte del COVID-19. La riolta nella prigione di El Milagro di Trujilo è menzionata anche nella dichiarazione 066 dell’IACHR.
Facciamo un’ipotesi: e se ci fosse il sospetto che il Prof. Gusmán fosse contagiato dal COVID-19?
Ovviamente, non ci sarebbe alcuna possibilità di cura in carcere, dove non ci sono condizioni, attrezzature o professionisti sanitari multidisciplinari che si prendano cura dei contagiati da COVID-19.
Ci sarebbe davvero garanzia dei diritti universale degli esseri?
Non c’è motivo di credere in un’assistenza tempestiva e corretta da parte dello Stato, che lo mantiene nelle condizioni attuali.
In Brasile, ad esempio, nessuno può essere imprigionato per più di 30 anni, non importa quanto grave sia il reato. Al Prof. Gusmán manchere solo 1 anno per completare i 30 anni.
Anche in casi come il Prof. Guzmán, le misure giudiziarie devono sempre essere conformi alle norme generali che regolano i diritti fondamentali della persona umana; o il diritto dei detenuti; e soprattutto dei prigionieri politici, come in questo caso; nonché nei principi di ragionevolezza e proporzionalità.
In questo caso, per tutti i motivi indicati nei testi citati nonché nel presente documento, rifiutati dalle autorità peruviane, e alla luce degli stessi regolamenti e principi suddetti, la richiesta si concedere gli arresti domiciliari per Abimael Guzmán è pienamente giustificata.
diffuso da CEBRASPO Brasile