Tortura nelle carceri, si moltiplicano i casi in Italia

da Radio città fujiko

L’ultimo caso balzato agli onori delle cronache riguarda Ferrara, dove tre agenti di polizia penitenziaria sono accusati del reato di tortura per aver fatto spogliare e picchiato in cella un detenuto. Il fatto risale al 30 settembre e ad essere imputata è anche un’infermiera per false attestazioni.
Le associazioni in difesa dei diritti dei detenuti, però, riportano di aver ricevuto diverse segnalazioni di violenze e torture in carcere nei giorni e nelle settimane successivi alle rivolte di inizio marzo.

Tortura, il caso ferrarese

La Procura ferrarese ha chiesto il rinvio a giudizio per tre agenti di polizia penitenziaria con l’accusa di tortura. L’udienza preliminare è fissata per il 9 luglio.
Secondo la ricostruzione della pm Isabella Cavallari, in occasione di una perquisizione, il detenuto è stato oggetto di “trattamento inumano e degradante per la dignità della persona”.

In particolare, il detenuto è stato fatto denudare e inginocchiare e in quella posizione percosso, anche con un oggetto di metallo, quindi lasciato lì fino a quando non l’ha notato il medico del carcere. La prognosi per l’uomo è stata di 15 giorni.
Nella vicenda, due agenti sono accusati anche di falso e calunnia, per i rapporti che hanno stilato. Dopo l’aggressione il detenuto è stato trasferito nel carcere di Reggio Emilia.

Carceri, le “rappresaglie” dopo le rivolte

Dopo le rivolte registrate in molti istituti penitenziari italiani ad inizio marzo, in seguito alle restrizioni e per la paura del contagio da coronavirus, l’associazione Antigone ha raccolto diverse segnalazioni di famigliari che hanno raccontato che i propri cari sono stati fatti oggetti di violenze e rappresaglie all’interno delle carceri.
“In alcuni casi si presentavano squadre di agenti di polizia penitenziaria – racconta ai nostri microfoni la presidente di Antigone, Susanna Marietti – che se la prendevano anche con detenuti che non avevano preso parte alle rivolte o malati e anziani”.

Uno dei primi casi riguarda il carcere milanese di Opera, dove gli agenti hanno usato i manganelli sulle braccia, sulle mascelle e su altre parti del corpo dei detenuti, immobilizzandone alcuni e percuotendoli, dando loro dei calci nei testicoli. Un agente avrebbe riferito a un avvocato che “era solo volato qualche ceffone”.
Il secondo esposto presentato da Antigone è relativo a violenze nel carcere di Melfi, dove alcuni detenuti sarebbero stati denudati e picchiati, insultati, messi in isolamento, trasferiti in altri istituti con lunghi spostamenti durante i quali era loro impedito di andare in bagno, costretti a firmare fogli nei quali dichiaravano di essere accidentalmente caduti.

Ad aprile, invece, al centro dell’attenzione finisce il carcere di Santa Maria Capua a Vetere. Dopo la battitura delle sbarre da parte dei detenuti in seguito alla notizia di un caso positivo al Covid-19, sarebbe avvenuta una ritorsione violenta da parte della polizia penitenziaria in assetto anti-sommossa. Circa 400 agenti avrebbero fatto ingresso con volto coperto e guanti alle mani.
“Ora ci sono 44 avvisi di garanzia alla polizia penitenziaria – osserva Marietti – sarà la magistratura a fare chiarezza”.

Il “giovane” reato di tortura

Alcuni dei processi a cui si approderà per le violenze all’interno delle carceri potranno essere celebrati per il reato di tortura, introdotto nel codice penale nel luglio 2017 dopo una lunga e travagliata battaglia.
L’Italia aveva ratificato la convenzione internazionale delle Nazioni Unite contro la tortura, ma per molti anni non ha introdotto il reato nel proprio ordinamento, principalmente a causa dell’opposizione delle forze dell’ordine.

Nel 2017, invece, la legge fu approvata, anche se tra le polemiche. “Non è la migliore legge del mondo – sottolinea la presidente di Antigone – Ha diverse mancanze e avremmo preferito che fossero utilizzate nel testo le stesse parole della convenzione internazionale, però oggi ci siamo resi conto che il meglio è nemico del bene e sicuramente il reato di tortura renderà molto più difficile far scivolare i processi nella prescrizione, come invece accadeva spesso quando le imputazioni erano per maltrattamenti”.

ASCOLTA L’INTERVISTA A SUSANNA MARIETTI: