
Il 10 ottobre Anan Yaeesh, prigioniero politico palestinese deportato dal 23 settembre nel carcere di Melfi, aveva interrotto lo sciopero della fame intrapreso il 4 ottobre, anche in seguito alle rassicurazioni, da parte delle autorità carcerarie melfitane, di soddisfare i suoi diritti, regolarmente riconosciutigli dall’autorità giudiziaria dell’Aquila, da cui dipendono tutte le sue istanze fino alla sentenza di primo grado.
A quelle rassicurazioni però non sono seguite azioni concrete, ed Anan è tornato a protestare ferendosi.
Quelle rassicurazioni, infatti, non hanno avuto altro effetto se non quello di distogliere lo sguardo dal carattere punitivo di questo trasferimento arbitrario e dalle restrizioni a cui Anan continua ad essere sottoposto nel carcere di Melfi, come il blocco della corrispondenza o l’imposizione di acquistare all’interno del carcere a prezzi triplicati ciò che gli si potrebbe inviare da fuori risparmiando sui costi.
È difficile non fare paragoni tra queste “rassicurazioni” e quelle che ci vengono imposte per spegnere le mobilitazioni dal cosiddetto accordo di cessate il fuoco a Gaza, anch’esso, guarda caso, formalmente annunciato il 10 ottobre.
Mentre continua senza sosta il genocidio a Gaza, si moltiplicano gli attacchi dei coloni in Cisgiordania e dai rapporti delle organizzazioni per i diritti umani dei detenuti palestinesi emergono prove inconfutabili di stupri, torture e arresti di massa, notevolmente aumentati a partire dal 10 ottobre, i media occidentali continuano in gran parte a tacere su tutto questo e la Knesset israeliana approva in prima lettura un disegno di legge per applicare la pena di morte ai prigionieri palestinesi.
Parallelamente in Italia si continua a violare i diritti di un partigiano palestinese ingiustamente detenuto in un carcere di massima sicurezza, mentre la Procura dell’Aquila convoca il rappresentante di uno stato terrorista e genocida a testimoniare contro di lui, nel tentativo di condannare la legittima resistenza del popolo palestinese e di legittimare gli insediamenti illegali israeliani quantunque ospitino le basi militari di uno stato occupante.
Sabato 15 novembre, alle ore 15 ci sarà un presidio davanti al carcere di Melfi in solidarietà ad Anan, e Venerdì 21 a L’Aquila ci sarà un presidio nazionale davanti al Tribunale di L’Aquila, per la liberazione di Anan Yaeesh e contro la connivenza, sempre più conclamata, del governo Meloni con regimi assassini, stupratori e torturatori.
Di seguito l’indirizzo per scrivergli e il comunicato del Comitato Free Anan.
Anan Yaeesh
Casa Circondariale di Melfi, Via Lecce 18 – 85025 Melfi (PZ)
DOPO CONTINUE VIOLAZIONI DEI SUOI DIRITTI DA PARTE DEL CARCERE DI MELFI, ANAN FERITO IN CARCERE
Nella giornata di ieri Anan Yaeesh, in segno di protesta, per denunciare la politica punitiva messa in atto dalle autorità carcerarie del penitenziario di Melfi, si è ferito in carcere. Un gesto volto a denunciare la gravità della situazione detentiva alla quale continua a essere sottoposto.
L’autorità giudiziaria, pur con tutti i limiti e le contraddizioni emerse in maniera palese nel corso del processo de L’Aquila, aveva comunque riconosciuto e autorizzato ad Anan l’accesso a una serie di diritti basilari. Questi diritti, formalmente garantiti, avrebbero dovuto tradursi in misure concrete all’interno dell’istituto penitenziario.
Al contrario, è l’autorità esecutiva impersonata dalla direzione del carcere di Melfi e facente capo al governo Meloni e al Ministero della Giustizia, lo stesso che in passato aveva già concesso un primo nulla osta per la sua estradizione in Israele a continuare ostinatamente a impedirgli di usufruirne, in barba a quanto stabilito dal tribunale ed in barba della tanto decantata separazione dei poteri.
Nonostante le autorizzazioni dell’autorità giudiziaria e delle quali usufruiva presso la Casa Circondariale di Terni, in quella di Melfi invece ad Anan viene ancora negato l’accesso a parte dei suoi effetti personali, regolarmente trasferiti dal carcere di Terni a quello di Melfi dopo il suo recente trasferimento.
Queste violazioni si aggiungono a una lunga serie di abusi già denunciati: tra tutti, il trasferimento punitivo a centinaia di chilometri di distanza nel pieno del processo, una decisione che ha compromesso la possibilità di incontrare regolarmente i suoi legali, ledendo in modo evidente il suo diritto alla difesa.
Di fronte a questo quadro, denunciamo con forza la responsabilità delle autorità penitenziarie, del Ministero della Giustizia e del governo, e chiediamo che vengano immediatamente ripristinati i diritti riconosciuti ad Anan.
E RINNOVIAMO LA NECESSITÀ DI PARTECIPARE NUMEROSI ALLE PROSSIME SCADENZE MOBILITATIVE, LA PIÙ IMPORTANTE DELLE QUALI È IL PRESIDIO CHE SI TERRÀ IN CONCOMITANZA CON L’UDIENZA DEL 21 NOVEMBRE DAVANTI AL TRIBUNALE DE L’AQUILA.