Riceviamo e volentieri pubblichiamo, dal Laboratorio Sociale Largo Tappia, la dichiarazione spontanea di Anan Yaeesh all’udienza del 16 aprile (quella del 2 è rimasta imprigionata in una traduzione fedele ad Israele piuttosto che alla testimonianza di Anan):
“Oggi non parlo della causa palestinese, ma parlo di altre cose, perché avete chiesto che non dobbiamo fare entrare la politica nell’aula di tribunale. Però io credo che siamo qua per una decisione politica, e non giuridica”
[Il giudice interrompe, ripetendo ossessivamente che in aula si prendono solo decisioni giuridiche e costringendo l’avvocato a intervenire. La difesa fa notare che in una dichiarazione spontanea dell’imputato, non c’è la possibilità di un confronto con la Corte. La Corte può non apprezzare quello che intende dire l’imputato, ma lo deve lasciar parlare, poi magari potrà motivare in ordine a quello che dice l’imputato. Ma non può contestare quello che pensa l’imputato. Il giudice interrompe ripetutamente anche la difesa, chiedendo se anch’essa la pensa come l’imputato, e l’avvocato risponde giustamente che nel c.p.p. non è ancora previsto l’esame del difensore. “Poi lo controlliamo, ma penso di no” è la risposta con cui il giudice finalmente si tace, prima di ridare la parola ad Anan]
“Io sono qua per un motivo politico, perché non ho commesso alcun reato contro la legge italiana in Italia. Però rispetto la decisione di non far entrare la politica dentro l’aula di tribunale. Perché voi usate la politica per giudicarmi, perché se volete giudicarmi secondo la legge italiana dovete considerare tutti i documenti e tutti gli atti della comunità internazionale che voi riconoscete. E dovete considerare che tutti gli enti internazionali riconoscono che nelle prigioni israeliane si pratica la tortura e le regole dei diritti umani non vengono rispettate.
Però non avete preso in considerazione tutto questo. Avete preso invece in considerazione la relazione politica tra il governo italiano e il governo israeliano.
Signor giudice, voi non mi avete dato il diritto di difendermi. La stessa cosa succede nei tribunali di Israele.
Avete preso in considerazione i testimoni dell’accusa e invece non avete preso in considerazione la mia testimonianza. Il procuratore ha usato dei documenti stranieri contro di me, però avete rifiutato i documenti che ho presentato io e avete deciso di non sentire i testimoni che ho proposto io, questo contro la legge in Italia. E mettete fretta quando parlo io, e mettete fretta anche quando parla la mia difesa.
Non volete darci il tempo che ci serve per parlare, come se, dopo l’udienza, io tornassi alle isole Maldive e non in carcere. Questo perché avete fretta di finire la causa invece di applicare la giustizia.
Sento di essere tanto oppresso, sento che sto subendo una grande ingiustizia in questo tribunale. Come se fossi in un tribunale finto, come successo in Francia contro gli algerini o come avviene in un tribunale militare in Israele
Se quello che sento è giusto, significa che la mia condanna è già decisa. Allora emettete la vostra condanna! Non è necessario fare tutte queste udienze, così sconto quello che devo scontare in prigione tutto il tempo.
Se invece questo tribunale rispetta la democrazia e rispetta i vostri diritti come umani, e se abbiamo il diritto come gli altri popoli di vivere in libertà, allora dovete darmi i miei diritti come essere umano, perché abbiamo già subito abbastanza oppressione dai vostri amici israeliani.
Dovete lasciarci in pace! Viva la resistenza palestinese, fino alla libertà!”