Si apre uno spiraglio nella assurda vicenda che riguarda Alfredo Cospito, militante anarchico condannato all’ergastolo, per di più “ostativo” (con il divieto dunque di accedere agli sconti di pena previsti dalla “legge Gozzini”) e perciò detenuto in regime di 41bis (isolamento pressoché assoluto).
La cosa giuridicamente assurda è nel fatto – riconosciuto anche dalla condanna – che Cospito non ha ucciso nessuno. Però è stato riconosciuto colpevole in via definitiva (dopo i tre normali gradi di giudizio) di aver piazzato un ordigno nei pressi di una caserma dei Carabinieri.
L’esplosione, avvenuta di notte, non ha ferito né i militari né eventuali passanti. Ma la Procura di Torino – e successivamente il Tribunale di quella città – ha ritenuto di doverlo processare per “strage”, contestandogli l’art. 285 del codice penale.
Questa contestazione non è di per sé “strana”, e viene sollevata ogni volta che viene usato dell’esplosivo per un attentato, indipendentemente dal fatto che ci siano oppure no delle vittime. Non esiste, in altri termini, il reato di “tentata strage” e dunque il codice prevede una sola possibile pena: l’ergastolo, appunto.
Le centinaia di processi avvenuti in Italia per fatti simili, e anche decisamente più gravi, quanto alle conseguenze, hanno però sempre mantenuto un criterio di proporzionalità tra reato in astratto ed effetti reali. E quindi l’ergastolo è stato comminato soltanto nel caso ci fossero state vittime decedute. E neanche in tutti i casi.
Di più. In quelle centinaia di processi è stato affinato con il tempo anche un criterio di proporzionalità rispetto ai “mezzi” usati per un attentato con l’esplosivo, visto che ne esistono di molti tipi e con grandissime differenze di pericolosità.
La stessa sentenza di condanna di Cospito riconosce che sono stati usati 500 grammi di “polvere pirica”, ovvero la polvere da sparo che si usa comunemente nei “botti” di Capodanno. E’ forse l’esplosivo meno potente che si trova in circolazione, lontano anni luce dalla dinamite o dal “plastico” per usi militari. Insomma, poco più di un petardo, come “strumento adeguato a compiere una strage” lasciava molto a desiderare…
Il caso di Alfredo costituisce dunque un unicum che ha sollevato non poche perplessità anche in ambienti decisamente non in sintonia con gli anarchici. Troppo evidente che contro di lui si sia voluta “forzare” l’interpretazione della legge, come mai era avvenuto prima, per costituire un precedente minaccioso verso tutti i “dissidenti”.
La Corte d’Appello di Torino, nel raccogliere un ricorso presentato dall’avvocato Flavio Rossi Albertini, ha riconosciuto che – pur essendo accertata giudiziariamente la colpevolezza di Cospito (ovvero quanto stabilito dai tre gradi di giudizio) – l’entità della pena è decisamente sproporzionata rispetto ai fatti contestati. Anche in virtù di quel vincolo al “massimo della pena” previsto nel codice per la “strage” (anche quando non avviene, come in questo caso).
Chi si districa nella terminologia giuridica potrà apprezzare i dettagli dell’ordinanza con cui la Corte ha rinviato gli atti alla Corte Costituzionale perché decida se “Il divieto inderogabile di prevalenza della circostanza attenuante dell’art. 311 c.p. in relazione al delitto di cui all’art. 285 c.p. non appare dunque compatibile con il principio di determinazione di una pena proporzionata”.
Nel linguaggio comune diremmo: se è costituzionalmente possibile che, in assenza di vittime, si possa condannare qualcuno all’ergastolo solo perché ha messo in atto un’azione “contro la personalità dello Stato” e non se ne è “pentito”.
Quest’ultimo non è un dettaglio, perché proprio la “personalità” è stata indicata come un elemento di “pericolosità” sociale secondo il Tribunale di Sorveglianza che gli ha confermato di recente il 41bis.
A noi sembra pacifico che sia un’assurdità, ricordando innumerevoli processi in cui un fatto del genere veniva punito con 5 o 10 anni di carcere (che non sono comunque pochi, no?). La stessa Corte d’Appello ricorda che, in caso, di accoglimento del ricorso, la condanna potrebbe essere rideterminata dentro una forbice comunque mostruosa: tra i venti e i ventiquattro anni di reclusione.
Ma è immediatamente evidente che in quel caso Cospito non potrebbe più essere rinchiuso in regime di 41bis (che andrebbe abolito comunque e per tutti, e su cui pende un procedimento apposito davanti alla stessa Consulta), con tutto quel che ne consegue per quanto riguarda “l’esecuzione della pena” e le condizioni di prigionia.
I tempi non saranno ovviamente brevi, ma prendiamo atto che questo spiraglio si è aperto e ci auguriamo che la Corte Costituzionale tega fermi i princìpi della Carta, com’è suo dovere, nonostante le infinite “interpretazioni creative” di legislatori improvvisati e di magistrati che si sentono “in prima linea” anziché su uno scranno ottimamente retribuito.