Questa giornata ricorda la giornata dell’eroismo, il massacro nelle prigioni peruviane dei compagni del Partito Comunista del Perù, dei guerriglieri e combattenti della guerra popolare in Perù, che mostrarono col loro sacrificio e la loro lotta eroica, da un lato il volto barbaro del regime fascista e genocida in Perù, ma nello stesso tempo la forza ideologica, politica e militare della resistenza dei prigionieri politici come avamposto della guerra popolare che si svolgeva in forma impetuosa in quel paese nel 1986. La resistenza eroica dei prigionieri politici e di guerra, caduti il 19 giugno, era nutrita dall’ideologia del proletariato, il marxismo-leninismo-maoismo ,nell’applicazione del pensiero guida del Partito Comunista del Perù, espresso dal presidente Gonzalo.
Il 19 giugno è divenuta quindi una giornata storica, non solo dei prigionieri politici e di guerra in tutte le carceri dell’imperialismo, ma della lotta rivoluzionaria dei proletari e dei popoli del mondo. E’ divenuto proprio per questo un punto di riferimento, una giornata internazionale della lotta e della resistenza dei prigionieri politici comunisti rivoluzionari, antimperialisti, in tutto il mondo. La lotta e dalla resistenza irriducibile che avvenne nelle carceri peruviane e fece delle carceri una luminosa trincea di combattimento della lotta di classe, rappresentano l’intera lotta del proletariato e dei popoli oppressi, e fu ed è parte integrante di essa.
Ripristinare e riprendere questa pagina è quindi indispensabile per le forze rivoluzionarie di tutto il mondo. Naturalmente questo significa innanzitutto non solo rendere omaggio ai prigionieri politici e di guerra, ma anche farla vivere. Farla vivere significa incarnarla nei compiti dell’oggi, non come icone, ma come guida per l’azione. Guida per l’azione significa sempre analisi concreta della situazione concreta.
In che contesto quindi celebriamo oggi la giornata del 19 giugno?
L’imperialismo è guerra, repressione, miseria e oppressione dei proletari e dei popoli. Dove c’è oppressione c’è ribellione, dove c’è ribellione c’è lotta rivoluzionaria. La lotta rivoluzionaria di massa e armata, a volte camminano insieme, si intrecciano, sono complementari, a volte, ed è quello che noi auspichiamo, è guerra di classe, guerra rivoluzionaria, guerra popolare di lunga durata per la conquista del potere politico del proletariato e delle masse popolari, e per il rovesciamento dell’imperialismo in ogni sua cittadella, nei paesi imperialisti come nei paesi oppressi dall’imperialismo, in ogni sua postazione nel mondo. L’imperialismo, il capitalismo, ha governi e stati prodotti e strumenti di questo sistema, che si pongono a sua difesa, sia nelle forme della democrazia parlamentare, che è una forma mascherata della dittatura della borghesia, sia in forma di dittatura aperta, che in alcune fasi della storia, e in particolare nelle fasi in cui l’imperialismo si trasforma in guerra, assume le forme del fascismo, storico e moderno. Questa dittatura della borghesia si trasforma in violenza reazionaria, in violenza di stato, in repressione d’avanguardia e di massa. Questo si traduce in prigioni, prigionia politica. I prigionieri politici quindi sono la doppia faccia del sistema, delle due colline, la collina della controrivoluzione e quella della rivoluzione.
Su scala mondiale questo significa che i prigionieri politici attuali rappresentano una manifestazione visibile e concreta di questa contraddizione storica e di questa contraddizione attuale, che si va accentuando.
Il 19 giugno quindi è di questo che occorre parlare, e per di più occorre parlarne oggi, in cui l’imperialismo avanza verso una devastante guerra mondiale che ha il suo focolaio, in questa fase, nell’invasione dell’imperialismo russo in Ucraina, che è anche una risposta, difensiva e offensiva nello stesso tempo, all’azione guerrafondaia dell’imperialismo, principalmente americano, a cui si associano e partecipano la NATO come strumento generale, i governi e gli Stati imperialisti europei. Quella che si combatte in Ucraina è una guerra interimperialista scaricata sui popoli, è un focolaio acceso che può diventare incendio mondiale. La lotta contro la guerra imperialista è oggi l’obiettivo comune dei proletari e dei popoli in tutto il mondo, e di cui i prigionieri politici, nelle carceri dell’imperialismo, sono in qualche maniera espressione, e che, in diverse fasi, diventano voce della lotta dei popoli, contro la guerra imperialista, contro la repressione, la miseria, l’oppressione dei popoli, contro la reazione, la dittatura fascista e barbara dei regimi imperialisti e reazionari.
La repressione della lotta di classe e dei movimenti si manifesta nelle diverse latitudini, a seconda delle forme della ribellione dei popoli, e secondo il grado di forza che questa ribellione esprime, sia sul piano sociale, sia sul piano politico, sul piano tattico come sul piano strategico. Oggi la trincea avanzata della ribellione dei popoli sono le guerre popolari, in particolare in India, in Turchia, nelle Filippine, così come in tutti i paesi in cui, attraverso le rivolte, i proletari e i popoli esprimono l’esigenza di rivoluzione, l’esigenza di guerra di classe, di guerra rivoluzionaria, di guerra popolare. E’ chiaro che le carceri di questi paesi sono oggi riempite di decine di migliaia di comunisti, antimperialisti in India, di migliaia e centinaia negli altri paesi, teatro della contesa tra imperialismo e popoli. E questo non solo dove la lotta dei proletari e popoli si esprime nella forma organizzata della guerra popolare di lunga durata, ma anche laddove ancora a questo stadio non è arrivata, ma si esprime nella forma di rivolte popolari.
L’America latina – in Colombia, in Cile, in Messico, in Brasile, il Perù stesso – è teatro di grandi movimenti di proletari e popoli in rivolta, così come lo sono i paesi dell’Asia, basti pensare al Bangladesh, Sri Lanka, oltre che, naturalmente, laddove già agisce la guerra popolare di lunga durata, come è l’India. Quindi è chiaro che in questi paesi, i regimi reazionari e dittatoriali al servizio dell’imperialismo realizzano una repressione generalizzata sulle masse, sulle forze che si riferiscono alle masse, sugli intellettuali, i democratici e tutti coloro che si oppongono alla marcia reazionaria. Ed è chiaro che questi paesi diventano vere e proprie prigioni per i proletari ed i popoli su larga scala, basti pensare all’India, alla Turchia, ma, evidentemente, per un teatro a noi più vicino, a ciò che avviene in Palestina. Essere oggi dalla parte dei prigionieri politici di tutto il mondo, rivendicarne la libertà è non solo un dovere rivoluzionario, ma anche uno schieramento nel quadro della contesa tra rivoluzione e controrivoluzione, tra imperialismo e lotte del proletariato e dei popoli.
In seno ai paesi imperialisti, è evidente, la forma della repressione non è identica, essa è articolata e risente dei livelli effettivi dello scontro di classe che si svolge in questi paesi. Però questa repressione, dal punto di vista della borghesia e dello stato imperialista è sempre incubazione della ribellione, è sempre incubazione di un possibile incendio di classe, di estensione della lotta di classe, del movimento di classe e della sua trasformazione in movimento rivoluzionario. E quindi non è mai una repressione in sé, al di là dei mille fatti di cui si nutre, è sempre il soffocamento dell’idra della rivoluzione, incubata nelle contraddizioni sociali e politiche nei paesi e nell’attuale dinamica della contesa tra proletariato e borghesia.
Quindi il 19 giugno non solo si tratta di solidarizzare con tutti i repressi, anche all’interno dei paesi imperialisti, e denunciare tutte le forme della repressione che gli stati borghesi esercitano verso le lotte proletarie, le lotte dei movimenti, ma anche, in qualche maniera, cogliere che essa è la manifestazione della volontà e dell’azione controrivoluzionaria, fascista, e in certi casi, che sfiora il genocidio delle masse, e dall’altro prodromo, brodo di cultura dello sviluppo della lotta rivoluzionaria delle masse, dello sviluppo che possa trasformarsi in guerra di classe, in guerra rivoluzionaria, in guerra di popolo di lunga durata.
Di che cosa quindi parliamo? Nel nostro paese ad esempio parliamo della repressione verso i compagni del movimento No Tav, la repressione verso altri movimenti, come i No Muos, i No Tap, la repressione nei confronti degli immigrati, la repressione verso i proletari, e in particolare i proletari d’avanguardia e i proletari in lotta. Ieri a Novara si è manifestato per la morte di Adil, un operaio d’avanguardia ucciso dal padrone, da un suo agente, per fermare la grande lotta ribelle, di classe, dei proletari della logistica, in massima parte proletari immigrati. Così come esiste una repressione quotidiana fatta di cento, mille episodi, nelle fabbriche, nei luoghi di lavoro, nei luoghi di lotta, sia quando assume l’aspetto di licenziamenti politici diretti, sia quando assume l’aspetto di persecuzioni, discriminazioni; un esercizio arrogante e arbitrario del comando di fabbrica, che ha lo scopo di reprimere sul nascere gli operai che si ribellano e le loro lotte, di affermare, nella trincea principale all’interno dei paesi imperialisti, che sono le fabbriche e i posti di lavoro, la dittatura di classe. Occorre opporre una necessaria risposta alla repressione capillare sui posti di lavoro, e i lavoratori, là dove riescono, la oppongono.
Occorre però far crescere la coscienza della portata strategica che questa repressione rappresenta. “Colpiscine uno per educarne cento” attualmente è la parola d’ordine dei padroni, “Se toccano uno toccano tutti” è la necessaria risposta dei proletari.
Che dire poi della repressione degli antifascisti? Degli oppositori alla guerra? Dei solidali con gli immigrati? Una repressione globalizzata che ha lo scopo di eliminare le avanguardie, di intimidire le masse, di togliere l’acqua in cui può nuotare la forza della ribellione, la volontà di trasformazione, l’idea della rivoluzione.
Ma chiaramente la repressione non colpisce soltanto i proletari e le masse in lotta, le masse ribelli; nei paesi oppressi dall’imperialismo molte volte si tratta di masse in armi, guidate da forze rivoluzionarie, da forze che lavorano non certo solo per rispondere alla logica del sistema, ma per rovesciarlo. All’interno di questa repressione va considerato il segno che ha l’azione antidemocratica che viene svolta verso intellettuali dissidenti, verso soggetti che non si omologano al pensiero unico che i governi impongono nei loro paesi in ogni fase della dittatura di classe della borghesia. Pensiamo oggi alla gravità dell’estradizione di Julian Assange, colpevole, con la sua attività di controinformazione, di aver tolto i veli ai segreti, peraltro spesso non segreti, dell’azione dell’imperialismo, principalmente USA, nella repressione dei popoli, nelle torbide manovre che hanno portato a massacri, a barbarie di ogni genere, basti pensare a quello che è avvenuto in Afghanistan, in Iraq, e che spesso continua ad avvenire nei paesi in cui l’imperialismo, USA innanzitutto, esercita la sua dittatura, la sua influenza e li arma. Per questo l’estradizione di Assange è un attacco generale al diritto di informazione e denuncia, è l’esaltazione del potere aperto e segreto della dittatura della borghesia. E’ giusta quindi la massima solidarietà.
Così come bisogna solidarizzare con coloro che si stanno opponendo al pensiero unico dell’imperialismo USA/NATO occidentale in merito alla guerra dell’Ucraina, coloro che vengono espulsi dalle trasmissioni televisive e criminalizzati sui giornali, e non solo, se si pensa all’azione sporca dei servizi del Copasir, dei Ministeri, nei confronti di alcuni intellettuali, giornalisti che non ci stanno a rappresentare la guerra dell’Ucraina come quella crociata di democrazia e civiltà che ci vogliono far intendere e invece ne mettono in luce sia i lati storico concreti, i dati della reale situazione, sia i disegni, certo non occulti, dell’imperialismo USA/NATO occidentale e italiano. Noi proletari, noi comunisti siamo solidali con tutte le voci di dissenso rispetto ai governi dell’imperialismo, come chiaramente siamo solidali nel teatro della guerra, con coloro che in Russia si stanno opponendo alla guerra d’invasione, perché è una guerra ingiusta e imperialista che è giusto che venga fermata e trovi la massima opposizione all’interno della Russia, e non come espressione dell’imperialismo Usa/occidentale, ma come voce dei proletari e dei democratici in Russia, che hanno il diritto, oltre che il dovere, di lottare contro la guerra del proprio imperialismo.
Noi siamo solidali con tutti coloro che in Ucraina, mentre è in corso un’invasione e una contro-occupazione militare, potenziale e non solo, delle truppe dell’imperialismo USA-NATO-Europa, non ci stanno alla narrazione di Zelensky, con coloro che hanno lottato e lottano contro il regime di Zelensky. Zelensky ha messo fuori legge i comunisti, le forze di opposizione, e anche se non si tratta dei comunisti internazionalisti come noi intendiamo, essi comunque si oppongono all’interno di questo teatro di guerra centrale, alla linea ufficiale che è quella della borghesia ucraina e dell’imperialismo USA/NATO in questa guerra.
Quindi, il 19 giugno, noi dobbiamo considerare la prigionia politica rivoluzionaria come il cuore di un più vasto movimento contro la repressione, e un elemento di solidarietà verso tutte le forme di prigionieri politici, sono tutti i prigionieri politici! Come lo sono, evidentemente, in forma molto più grave in queste giornate in Turchia, dove è in corso uno sciopero della fame, in Palestina, dove si combatte l’eterna guerra che considera i prigionieri politici ostaggio del regime sionista israeliano contro il popolo.
Quindi, quando parliamo di resistenza eroica dei prigionieri politici il 19 giugno, alludiamo sostanzialmente al significato storico di questa data e a ciò che essa rappresenta nella contesa del sistema capitalista e imperialista tra proletariato e borghesia, tra proletari e masse popolari e imperialismo.
Per concludere, i prigionieri politici rappresentano fratelli importanti della nostra classe, non i migliori fratelli nella nostra classe, questa apologia dei prigionieri politici che porta alcune forze ad occuparsi innanzitutto di prigionieri politici e finisce per separare questa lotta dalla lotta proletaria e di massa, considerata stadio inferiore, non è una posizione che ci rappresenta.
Sappiamo bene che contro le diverse forme di repressione occorre opporre diverse forme di lotta, c’è la solidarietà ai prigionieri politici, c’è la mobilitazione delle masse per i loro fratelli di classe quando cadono nelle mani della repressione nelle lotte operaie e popolari, c’è la solidarietà dei popoli che si esprime nella continuità della guerra popolare, della lotta antimperialista, c’è la solidarietà democratica che deve attraversare tutto l’universo della società, compreso quello delle istituzioni, per porre delle basi e dei freni all’esercizio della dittatura reazionaria della frazione dominante della borghesia in un singolo paese. Ci sono le forme di lotta che consistono nei presidi nelle carceri, così come ci sono le forme di lotta che consistono nelle petizioni, nelle mozioni, nelle campagne democratiche, nell’uso di tutti gli strumenti della denuncia, nel non lasciare mano libera nei processi politici e sociali che avvengono nei tribunali.
In questo senso serve un fronte unito di tutti coloro che lottano su questo terreno, un fronte unito anche specifico, perché non è spontaneo questo tipo di integrazione tra lotta delle masse e lotta contro la repressione dei prigionieri politici. In questo senso serve il soccorso rosso proletario. Soccorso rosso perchè rosso è stato il colore della solidarietà internazionale e storica del movimento comunista e rivoluzionario nei confronti dei prigionieri politici e della repressione. Proletario perché oggi abbiamo un problema in più, il distacco tra proletariato e lotta contro la repressione e la solidarietà coi prigionieri politici, e quindi c’è un lavoro specifico che occorre fare per informare, interessare i proletari anche d’avanguardia alla centralità e importanza di questa lotta.
Soccorso rosso proletario perché l’unità nella lotta per i prigionieri politici riguarda tutti i prigionieri politici, qualunque sia la formazione di appartenenza, contro la logica di difendere i propri e non tutti, e quindi qualunque sia l’organizzazione politica, comunista, rivoluzionaria, anarchica, che venga colpita dalla repressione, così come qualunque sia l’organizzazione sindacale, quando si tratta di operai e lavoratori sui posti di lavoro. Questa forma unitaria del sostegno alla lotta contro la repressione e di solidarietà per i prigionieri politici ha bisogno di uno strumento suo, che è quello che noi chiamiamo soccorso rosso proletario, un organismo specifico che può svilupparsi su questo terreno, così come in altri campi, per la lotta degli immigrati, la lotta antifascista ad esempio, esistono e si sviluppano organismi specifici.
Ma quando facciamo questo sappiamo bene che l’imperialismo tutto vuole fare tranne che liberare anche un solo prigioniero politico, tutto vuole fare tranne che arretrare su un solo punto della repressione nei confronti delle masse, e quindi è evidente che noi non possiamo limitare la lotta alla difesa dalla repressione, alla solidarietà con i prigionieri, ma dobbiamo considerarla parte ed elevarla alla lotta per rovesciare il potere dell’imperialismo, dei padroni e dello stato borghese, in tutte le sue forme, nei paesi imperialisti come nei paesi oppressi. Ovvero che è la rivoluzione l’aspirazione per cui i prigionieri politici sono nelle prigioni ed è la rivoluzione che li libererà.
Dire “la rivoluzione li libererà” non deve essere una parola d’ordine che sembra impossibile e quindi una prospettiva puramente ideale alla loro lotta. Significa contribuire oggi, anche come prigionieri politici, alla costruzione degli strumenti della rivoluzione. I principali strumenti della rivoluzione sono sempre il Partito, il sindacato di classe, il fronte unito, e l’attrezzamento della forza politica e militante che possa trasformarsi, nelle fasi di contesa più acuta, in cui predominano le leggi della guerra, in esercito della rivoluzione, in esercito di popolo, e che in altre pagine, anche nel nostro paese, basti pensare alla Resistenza, agli anni ’70, ha accumulato esperienze ed energia.
Quindi, se hanno represso i compagni, se li hanno incarcerati con l’idea di fermare la rivoluzione, ebbene proprio questo 19 giugno, diciamo che la vostra repressione alimenta la rivoluzione, e che questo è per noi un impegno di vita, è il modo migliore per essere oggi dentro le prigioni, contro le prigioni, fuori dalle prigioni e rappresentare l’aspirazione dei popoli alla liberazione sociale e politica, che significa la morte dell’imperialismo, il rovesciamento del modo di produzione capitalista, lo stato proletario, il socialismo, la marcia per il comunismo.
E’ questa, la marcia per il comunismo, il grido, la forza della resistenza dei prigionieri politici in Perù nel 19 giugno. E’ questo che li rende immortali, immortali nel senso vero della parola, che vivono nelle nostre lotte, ci ispirano e ci insegnano, ideologicamente e politicamente, come e dove si può arrivare e qual è l’ideologia, la teoria, che li deve guidare, il marxismo – leninismo – maoismo.