L’Italia è in guerra. Sebbene le forze armate del Belpaese abbiano preso parte attiva a conflitti in Europa, Africa e Medioriente sin dal 1992, la gran parte delle persone è convinta che l’ultima guerra sia finita nel 1945. I governi che si sono succeduti hanno coperto le operazioni belliche tricolori sotto un manto di ipocrisia. Missioni umanitarie, operazioni di polizia internazionali hanno travestito l’invio di truppe sui fronti di guerra in Somalia, Libano, Serbia, Iraq, Afganistan, Libia.
Quest’estate, per la prima volta in quarant’anni un ministro della Difesa, in occasione del rifinanziamento delle missioni militari italiane all’estero, ha rivendicato spudoratamente le avventure neocoloniali delle forze armate come strumento di tutela degli interessi dell’Italia.
Ben 18 delle 40 missioni militari all’estero sono in Africa nel triangolo che va dalla Libia al Sahel sino al golfo di Guinea. Sono lì per fare la guerra ai migranti diretti in Europa e per sostenere l’ENI. La bandiera gialla con il cane a sei zampe dell’ENI accompagna il tricolore issato sui mezzi militari.
Il conflitto imperialista tra la NATO, che mira a continuare l’espansione ad est cominciata dopo la dissoluzione dell’Unione sovietica, e la Russia, che, dopo decenni di arretramento, ha deciso di passare al contrattacco occupando l’Ucraina, ha visto un repentino ritorno alla retorica umanitaria tipica dei governi di Roma.
Dal 24 febbraio, quando la Russia ha attaccato l’Ucraina, sono scesi in piazza anche i guerrafondai del PD, che si oppongono alla guerra spedendo armi al governo Zelensky. In un tripudio di bandiere nazionali ucraine e arcobaleni della pace viene messo in scena un pacifismo armato, chiaramente schierato con uno dei due imperialismi che si stanno sfidando sulla pelle di chi vive in Ucraina e deve affrontare morte, bombe, paura, coscrizione obbligatoria.
Il governo ha proclamato lo Stato di emergenza “umanitario”. Questa decisione conferisce poteri straordinari all’esecutivo, che ha mano libera nella gestione dell’impegno dell’Italia nel conflitto in Ucraina. Un ponte aereo ha trasportato in Polonia armi destinate al governo Zelensky sin dal 2 marzo. Draghi ha deciso un ulteriore aumento della spesa militare e l’invio di truppe sul fronte est della NATO. 500 militari, scelti tra gli incursori della Marina, Col Moschin, Forze speciali dell’Aeronautica e Task Force 45, si vanno ad aggiungere ai 240 alpini in Lettonia e i 138 uomini dell’Aeronautica in Romania. Nel Mar Nero ci sono la fregata FREMM “Margottini” e il cacciamine “Viareggio”, oltre alla portaerei “Cavour” con i cacciabombardieri F-35.
Noi non ci stiamo. Noi non ci arruoliamo né con la NATO, né con la Russia. Rifiutiamo la retorica patriottica come elemento di legittimazione degli Stati e delle loro pretese espansionistiche. L’antimilitarismo, l’internazionalismo, il disfattismo rivoluzionario sono stati centrali nelle lotte del movimento dei lavoratori e delle lavoratrici sin dalle sue origini. Sfruttamento ed oppressione colpiscono in egual misura a tutte le latitudini, il conflitto contro i “propri” padroni e contro i “propri” governanti è il miglior modo di opporsi alla violenza statale e alla ferocia del capitalismo in ogni dove.
Le frontiere sono solo linee sottili su una mappa: un nulla che solo militari ben armati rendono tragicamente reali. Cancelliamole!
A Torino sta per partire la costruzione della Città dell’Aerospazio, un centro di eccellenza per l’industria bellica aerospaziale promosso dal colosso armiero Leonardo e dal Politecnico subalpino. La città dell’aerospazio, che sorgerà tra corso Francia e corso Marche, è stata candidata come sede di un acceleratore d’innovazione nel campo della Difesa e l’ufficio regionale per l’Europa del Defence Innovation Accelerator for the North Atlantic (D.I.A.N.A), una struttura della NATO.
Torino punta tutto sull’industria bellica per il rilancio dell’economia. Un’economia di morte.
Bloccare la nascita di un nuovo polo di ricerca, progettazione e costruzione di ordigni bellici, impedire che la NATO abbia una sua base a Torino è un impegno concreto contro la guerra.
Opporsi allo Stato di emergenza bellico, all’aumento della spesa militare, all’invio di armi al governo Ucraino, lottare per il ritiro di tutte le missioni militari all’estero, per la chiusura e riconversione dell’industria bellica, per aprire le frontiere a tutti i profughi e ai migranti è un concreto ed urgente fronte di lotta.
Per fermare le guerre non basta un no. Bisogna mettersi di mezzo. A partire dalla nostra città.
Sciopero generale, boicottaggio e blocco delle basi militari e delle fabbriche di morte!
Quest’estate, per la prima volta in quarant’anni un ministro della Difesa, in occasione del rifinanziamento delle missioni militari italiane all’estero, ha rivendicato spudoratamente le avventure neocoloniali delle forze armate come strumento di tutela degli interessi dell’Italia.
Ben 18 delle 40 missioni militari all’estero sono in Africa nel triangolo che va dalla Libia al Sahel sino al golfo di Guinea. Sono lì per fare la guerra ai migranti diretti in Europa e per sostenere l’ENI. La bandiera gialla con il cane a sei zampe dell’ENI accompagna il tricolore issato sui mezzi militari.
Il conflitto imperialista tra la NATO, che mira a continuare l’espansione ad est cominciata dopo la dissoluzione dell’Unione sovietica, e la Russia, che, dopo decenni di arretramento, ha deciso di passare al contrattacco occupando l’Ucraina, ha visto un repentino ritorno alla retorica umanitaria tipica dei governi di Roma.
Dal 24 febbraio, quando la Russia ha attaccato l’Ucraina, sono scesi in piazza anche i guerrafondai del PD, che si oppongono alla guerra spedendo armi al governo Zelensky. In un tripudio di bandiere nazionali ucraine e arcobaleni della pace viene messo in scena un pacifismo armato, chiaramente schierato con uno dei due imperialismi che si stanno sfidando sulla pelle di chi vive in Ucraina e deve affrontare morte, bombe, paura, coscrizione obbligatoria.
Il governo ha proclamato lo Stato di emergenza “umanitario”. Questa decisione conferisce poteri straordinari all’esecutivo, che ha mano libera nella gestione dell’impegno dell’Italia nel conflitto in Ucraina. Un ponte aereo ha trasportato in Polonia armi destinate al governo Zelensky sin dal 2 marzo. Draghi ha deciso un ulteriore aumento della spesa militare e l’invio di truppe sul fronte est della NATO. 500 militari, scelti tra gli incursori della Marina, Col Moschin, Forze speciali dell’Aeronautica e Task Force 45, si vanno ad aggiungere ai 240 alpini in Lettonia e i 138 uomini dell’Aeronautica in Romania. Nel Mar Nero ci sono la fregata FREMM “Margottini” e il cacciamine “Viareggio”, oltre alla portaerei “Cavour” con i cacciabombardieri F-35.
Noi non ci stiamo. Noi non ci arruoliamo né con la NATO, né con la Russia. Rifiutiamo la retorica patriottica come elemento di legittimazione degli Stati e delle loro pretese espansionistiche. L’antimilitarismo, l’internazionalismo, il disfattismo rivoluzionario sono stati centrali nelle lotte del movimento dei lavoratori e delle lavoratrici sin dalle sue origini. Sfruttamento ed oppressione colpiscono in egual misura a tutte le latitudini, il conflitto contro i “propri” padroni e contro i “propri” governanti è il miglior modo di opporsi alla violenza statale e alla ferocia del capitalismo in ogni dove.
Le frontiere sono solo linee sottili su una mappa: un nulla che solo militari ben armati rendono tragicamente reali. Cancelliamole!
A Torino sta per partire la costruzione della Città dell’Aerospazio, un centro di eccellenza per l’industria bellica aerospaziale promosso dal colosso armiero Leonardo e dal Politecnico subalpino. La città dell’aerospazio, che sorgerà tra corso Francia e corso Marche, è stata candidata come sede di un acceleratore d’innovazione nel campo della Difesa e l’ufficio regionale per l’Europa del Defence Innovation Accelerator for the North Atlantic (D.I.A.N.A), una struttura della NATO.
Torino punta tutto sull’industria bellica per il rilancio dell’economia. Un’economia di morte.
Bloccare la nascita di un nuovo polo di ricerca, progettazione e costruzione di ordigni bellici, impedire che la NATO abbia una sua base a Torino è un impegno concreto contro la guerra.
Opporsi allo Stato di emergenza bellico, all’aumento della spesa militare, all’invio di armi al governo Ucraino, lottare per il ritiro di tutte le missioni militari all’estero, per la chiusura e riconversione dell’industria bellica, per aprire le frontiere a tutti i profughi e ai migranti è un concreto ed urgente fronte di lotta.
Per fermare le guerre non basta un no. Bisogna mettersi di mezzo. A partire dalla nostra città.
Sciopero generale, boicottaggio e blocco delle basi militari e delle fabbriche di morte!
Sabato 26 marzo ore 10,30 a Porta Palazzo – zona mercato delle scarpe, Presidio antimilitarista contro la guerra e chi la arma
Assemblea Antimilitarista