Per l’accusa i due attivisti cercarono di afferrare un manganello e colpirono un agente. Ma la resistenza, per il presidio antifascista contro l’adunata di Forza Nuova nel 2018, per il giudice non c’è: “Gli agenti intrapresero un’azione che, senza accenno di condotte aggressive da parte di chi si parava loro di fronte, sfociò subito in una sequenza di violente manganellate”
Assolti perché le forze dell’ordine caricarono “senza alcun preavviso” i manifestanti. È la motivazione di una sentenza del Tribunale di Bologna depositata nelle scorse settimane che ha mandato assolti due attivisti antifascisti. I due avevano partecipato a un presidio organizzato il 16 febbraio 2018, in occasione del comizio di Roberto Fiore, leader di Forza Nuova.
Durante un presidio antifascista a piazza Galvani i manifestanti furono allontanati dalle cariche della celere nel corso di una di queste i ragazzi dei collettivi (Cua, e Crash) si difesero. Secondo l’accusa, uno degli imputati tentò di sottrarre il manganello a un agente, mentre un altro ne colpì alcuni con l’asta di una bandiera.
Il giudice Fabio Cosentino, al processo ha messo un punto fermo importante. Scrive il giudice nella sentenza: “a fronte di poche decine di manifestanti fermi e a volto scoperto – come traspare pure dalle testimonianze degli operatori della Digos – gli agenti improvvisamente, unilateralmente, intrapresero un’azione che, senza soluzione di continuità, senza accenno di condotte aggressive da parte di chi si parava loro di fronte, sfociò subito in una sequenza di violente manganellate“.
Il Tribunale di Bologna, valutando la dinamica dei fatti ha ritenuto che il comportamento tenuto dalle forze dell’ordine integrasse un caso paradigmatico di atto arbitrario, rispetto al quale il comportamento dei due attivisti fosse da ritenere giustificato, ai sensi dell’art. 393-bis c.p., con conseguente assoluzione “perché il fatto non costituisce reato”
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Limiti all’esercizio della forza pubblica: il Tribunale di Bologna interpreta l’esimente della reazione ad atti arbitrari (art. 393-bis c.p.) alla luce dell’art. 11 Cedu
di Carla Cataneo
Trib. Bologna, sent. n. 3037, ud. 6 luglio 2021, dep. 4 ottobre 2021
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1. La pronuncia in commento, avente ad oggetto fatti accaduti nel contesto di scontri di piazza tra manifestanti e forze dell’ordine, si segnala, in particolare, per avere offerto un’interpretazione estensiva dell’ambito di applicazione dell’art. 393-bis c.p., disposizione che, come noto, esclude la punibilità del soggetto che reagisca ad un atto arbitrario posto in essere da un pubblico ufficiale nell’esercizio delle sue funzioni. Si tratta, a quanto ci risulta, di un orientamento innovativo nel panorama giurisprudenziale italiano, che ridisegna i confini applicativi dell’esimente in senso conforme al diritto fondamentale di riunione sancito dall’art. 11 Cedu, come interpretato dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, da ultimo nella sentenza Laguna Guzman c. Spagna.
2. Prima di entrare nel merito delle questioni affrontate dal Tribunale di Bologna, è utile ripercorrere la vicenda concreta da cui traggono origine. Il procedimento vede imputate quattro persone (C.S., C.A., C.E., L.F.) per condotte di resistenza e lesioni aggravate, getto pericoloso di cose, utilizzo di mezzi atti a rendere difficoltoso il riconoscimento e porto di armi od oggetti atti ad offendere[1], verificatesi durante due manifestazioni di piazza organizzate da alcuni centri sociali e collettivi universitari di Bologna e svoltesi entrambe nel centro della città emiliana il 16 febbraio 2018.
Trattandosi di due episodi distinti sia sotto il profilo temporale (uno è avvenuto nella mattinata, l’altro nel tardo pomeriggio), sia delle rispettive modalità di svolgimento (nel primo caso si è trattato di un presidio statico, nel secondo di un corteo dinamico), il Tribunale li ha presi in considerazione separatamente, e tale impostazione di fondo verrà seguita anche nella sintesi che segue.
3. Il tema relativo all’ambito applicativo dell’art. 393-bis c.p. si è posto in relazione ai fatti avvenuti nel corso della prima manifestazione. E infatti, secondo la ricostruzione offerta dal Tribunale, nella mattinata del 16 febbraio veniva organizzato, in una delle piazze principali di Bologna, un presidio stabile al quale partecipavano circa un’ottantina di persone, con l’obiettivo di far spostare in un’altra sede il comizio di un leader di una forza politica di estrema destra, programmato per il tardo pomeriggio in quello stesso luogo. L’azione dei manifestanti consisteva essenzialmente nell’esposizione di striscioni e nella pronuncia ad alta voce di slogan antifascisti, senza che fosse intralciata la circolazione stradale o il passaggio di altre persone, estranee alla manifestazione, all’interno della piazza.
Improvvisamente, senza alcuna forma di preavviso orale o di ordine di scioglimento del presidio, le forze dell’ordine intraprendevano un’azione di “sospingimento”, che determinava inevitabilmente un contatto con i manifestanti, a seguito del quale C.S. e C.A. – unici due, tra gli imputati, ritenuti presenti alla manifestazione della mattina[2] – reagivano in modo violento: il primo tentava di sfilare un manganello ad un agente, mentre l’altro ne colpiva un altro con l’asta di un cartellone, integrando così, in entrambi i casi, condotte di resistenza a pubblico ufficiale aggravata.
Il Tribunale di Bologna, valutando la dinamica dei fatti anche con le lenti del giudice di Strasburgo, ha ritenuto che il comportamento tenuto dalle forze dell’ordine integrasse un caso paradigmatico di atto arbitrario, rispetto al quale il comportamento di C.S. e C.A. fosse da ritenere giustificato, ai sensi dell’art. 393-bis c.p., con conseguente assoluzione “perché il fatto non costituisce reato”[3]. In particolare, tra le decisioni della Corte europea dei diritti dell’uomo rilevanti in materia, ad avviso del collegio riveste “specifica pertinenza la sentenza (…) Laguna Guzman c. Spagna”, la quale, “sulla base della premessa, perentoria, e indiscutibile, secondo cui la libertà di riunione è un diritto fondamentale in una società democratica, ed anzi, così come la libertà di espressione, ne costituisce proprio uno dei fondamenti” ha testualmente ribadito “che di fronte a manifestazioni pacifiche – ancorché irregolari – l’intervento delle forze di polizia deve comunque ispirarsi ad un certo tasso di tolleranza (‘a certain degree of tolerance’) e modularsi secondo canoni di proporzionalità, sulla base di ragioni pertinenti e sufficienti a giustificare la compressione di quel diritto fondamentale”[4]. Alla luce di tali principi – ha osservato il Tribunale felsineo – l’azione di sgombero messa in atto dalle forze dell’ordine bolognesi risultava misura macroscopicamente sproporzionata rispetto al pur legittimo obiettivo della tutela dell’ordine pubblico, posto che a fronte di “un gruppetto davvero sparuto di manifestanti”, fermi in piedi ad ostentare striscioni e ad urlare slogan antifascisti, la repressione si è concretizzata in una “sequenza di violente manganellate obiettivamente sorprendente”, che ha provocato tra l’altro delle lesioni ai manifestanti costretti a subirla. In definitiva, il Tribunale ha ritenuto che “un intervento non preannunciato con quelle caratteristiche non ha decisamente mostrato di ispirarsi al grado di tolerance che, alle condizioni date, era possibile (e pertanto doveroso) coltivare”[5]. Inserite in tale cornice, le condotte di C.S. e C.A. non potevano che qualificarsi come prettamente difensive e giustificate dalla percezione “del gesto gratuito e vessatorio, soprattutto perché così inutilmente violento”, in un ambito in cui è in gioco la fondamentale libertà di riunione.
4. Per quel che riguarda, invece, i fatti avvenuti nell’ambito del corteo organizzato nel tardo pomeriggio, il ragionamento del Tribunale si è incentrato sui confini della responsabilità concorsuale nell’ambito delle manifestazioni di piazza.
Come anticipato, lo scenario in cui si verificano gli episodi ascritti ai quattro imputati è, qui, decisamente diverso: si trattava di un corteo composto da centinaia di manifestanti – tra le 400 e le 800 persone – che marciava verso la medesima piazza in cui si erano svolti i fatti del mattino, nella quale a quel punto era già in corso il programmato comizio di un esponente di una forza politica di estrema destra. Nel momento in cui il corteo giunse a contatto ravvicinato con la barriera delle forze dell’ordine che presidiava la piazza, gli agenti intervennero utilizzando un idrante per disperderlo ed evitare così lo scontro tra i manifestanti e le persone che assistevano al comizio. Fu in quel momento che i manifestanti del corteo iniziarono a lanciare oggetti contundenti – quali dadi metallici, bombe carta, bottiglie di vetro – all’indirizzo degli agenti, che reagirono con una “carica di alleggerimento”. A seguito di tale contatto, tre agenti riportarono lesioni.
Così ricostruito il quadro dei fatti, i giudici hanno valutato separatamente le posizioni dei quattro imputati.
Anzitutto, hanno escluso che vi fossero le prove che C.A. avesse preso parte al corteo pomeridiano. In secondo luogo, per quanto riguarda C.S., hanno ritenuto che dall’istruttoria non fosse emerso in modo chiaro quale fosse stata in concreto la sua condotta. A tal proposito, richiamando i principi consolidati nella giurisprudenza di legittimità[6], il collegio ha ricordato come, per valutare la responsabilità concorsuale in relazione a reati commessi in occasione di manifestazioni di piazza, occorra accertare non solo la presenza sul luogo dei fatti, ma anche l’effettiva compartecipazione materiale o morale, quest’ultima intesa come reale capacità della condotta del concorrente di far sorgere o rafforzare l’altrui proposito criminoso (consistito, nel caso di specie, nella commissione di fatti di resistenza a pubblico ufficiale, verificatisi da un certo momento in poi, ovvero a seguito dell’uso dell’idrante da parte delle forze dell’ordine per disperdere il corteo, e culminati infine in fatti di lesioni a danno di tre agenti).
Tanto premesso, secondo i giudici di merito non può essere affermata la responsabilità concorsuale di C.S. nei fatti di resistenza a pubblico ufficiale per il solo fatto della presenza nel luogo di svolgimento del corteo, senza che possa distinguersi un suo comportamento in qualche modo “qualificato”, che si ricolleghi, attraverso un giudizio di causalità psichica basato su massime di esperienza, ai fatti di resistenza materialmente commessi dagli altri manifestanti (ossia il lancio di cose pericolose e le lesioni commessi durante l’intervento delle forze dell’ordine).
Per quanto riguarda gli altri due imputati, mentre per L.F. non è stata fornita la prova del lancio di dadi metallici che gli veniva contestato dall’accusa, diversamente appare indubbio che C.E. abbia inveito contro le forze dell’ordine e lanciato una bottiglia di vetro al loro indirizzo. In tal modo, la condotta di quest’ultimo ha integrato, in concorso con altri, i reati di resistenza a pubblico ufficiale e lancio di cose pericolose, poiché – ad avviso del collegio – ha rappresentato un “tassello significativo, sul piano dell’efficienza causale, di quel complessivo scenario di minacciose violenze che in quel frangente si proiettava ad ostacolare l’attività funzionale degli agenti”[7]. Tuttavia, soggiunge il Tribunale, ciò non basta per affermare una conseguente responsabilità di C.E. anche per le lesioni verificatesi a danno degli agenti: deve infatti escludersi non solo una sua responsabilità diretta, poiché le lesioni sofferte dagli agenti sono state causate da oggetti metallici e bombe carta (quindi strumenti diversi da una bottiglia di vetro), ma anche una sua responsabilità a titolo di concorso morale, atteso che non è stato accertato in quale preciso momento della manifestazione si siano verificate le lesioni e risulta pertanto impossibile accertare un eventuale coefficiente con-causale tra queste ultime e la condotta dell’imputato.
Per tutte le ragioni sin qui sinteticamente richiamate, il Tribunale ha dunque assolto C.A., C.S. e L.F. per i reati loro ascrittigli, condannando invece C.E. per resistenza a pubblico ufficiale aggravata e getto pericoloso di cose, con pena condizionalmente sospesa.
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5. Tra gli snodi centrali nell’impianto argomentativo della pronuncia vi è senz’altro quello attinente ai confini applicativi dell’art. 393-bis c.p.[8], ridefiniti dal Tribunale felsineo alla luce dei principi affermati dalla più recente giurisprudenza convenzionale in relazione all’art. 11 CEDU, che com’è noto tutela la libertà di associazione e riunione.
6. Nel caso richiamato dalla pronuncia in commento (C. edu, sez. III, 6 ottobre 2020, Laguna Guzman c. Spagna) la Corte EDU ha accolto il ricorso di una cittadina spagnola che lamentava la violazione della sua libertà di riunione, poiché durante una manifestazione non autorizzata era stata ferita dalla polizia, intervenuta per disperdere il corteo, sebbene i manifestanti non avessero creato disagi alla circolazione, né intenzionalmente provocato lo scontro con le forze dell’ordine. Si tratta quindi di fatti almeno in parte sovrapponibili a quelli avvenuti a Bologna il 16 febbraio 2018.
Secondo quanto affermato costantemente dai giudici di Strasburgo, e ribadito nella sentenza Laguna Guzman, le autorità statali non possono interferire in modo ingiustificato con il diritto alla libertà di riunione e devono al contempo assicurare tutte quelle misure che consentano il regolare svolgimento di una manifestazione, purché pacifica. Più nel dettaglio, la Corte è solita distinguere le condizioni che possono legittimamente essere poste all’esercizio del diritto alla libertà di riunione[9], in primis la sua autorizzazione preventiva, dalle restrizioni alle sue concrete modalità esecutive, quali il controllo della folla, la sua dispersione, l’arresto dei partecipanti autori di atti illeciti e le successive sanzioni adottate nei loro confronti.
Quanto alle prime, esse non sono di regola considerate “interferenze” con la libertà di riunione (a meno che non risultino in concreto fini a sé stesse e dunque abusive), in quanto consentono, piuttosto, di garantirne lo svolgimento riducendo al minimo i disagi per la circolazione. La Corte è solita affermare, inoltre, che, in assenza di comportamenti violenti, la mancata autorizzazione non può di per sé determinare l’interruzione della manifestazione da parte delle forze dell’ordine, ma al più l’applicazione di successive sanzioni[10].
Le seconde, viceversa, rappresentano vere e proprie limitazioni che le autorità di pubblica sicurezza possono imporre anche solo a fronte dell’elevata probabilità che i partecipanti alla manifestazione pongano in essere atti di violenza. La loro legittimità dipende dal rispetto dei presupposti sanciti dal par. 2 dell’art. 11 CEDU, dovendo in particolare essere prescritte dalla legge e necessarie, in una società democratica, al perseguimento di uno o più degli scopi legittimi contemplati dalla norma, tra i quali figura anche la tutela dell’ordine pubblico[11].
Per giurisprudenza convenzionale consolidata, il diritto di partecipare a manifestazioni spontanee (e come tali non autorizzate) può prevalere sull’obbligo di notifica preventiva delle assemblee pubbliche solo in circostanze speciali, ovvero quando la riunione appaia giustificata dalla necessità di fornire una risposta immediata a un evento in corso, rispetto al quale la richiesta di autorizzazione priverebbe di efficacia l’azione dei manifestanti[12]. In questi casi, data la necessità di garantire effettività al diritto in questione, è come se sussistesse in capo alle autorità un divieto di scioglimento per il mancato preavviso[13] e la dispersione può avvenire legittimamente esclusivamente nel caso in cui i partecipanti alla manifestazione realizzino (o siano in procinto di realizzare) atti di violenza[14].
Al di fuori dei casi di violenza – ecco il principio di maggiore impatto in termini di garanzia della libertà e corrispondente delimitazione dei pubblici poteri – le forze dell’ordine devono agire con un certo grado di tolleranza[15] nei confronti di manifestazioni pacifiche, anche laddove non autorizzate, che rechino un sopportabile disturbo al regolare svolgimento della vita pubblica, non potendosi in questi casi determinare la conclusione forzata della manifestazione attraverso la dispersione dei manifestanti[16].
Oltre a ribadire tali consolidati principi, nel caso Laguna Guzman c. Spagna la Corte europea sembrerebbe avere compiuto un ulteriore passo in avanti, o quanto meno avere fornito un prezioso chiarimento, rispetto ai precedenti approdi giurisprudenziali sul tema. Tale pronuncia afferma, infatti, che, anche qualora la riunione non sia giustificata dalla necessità di reagire immediatamente a un evento pubblico o politico in corso (condizione che, come sopra ricordato, esime i partecipanti dall’obbligo di previa autorizzazione), la mancanza di autorizzazione non può comunque legittimare la dispersione del corteo se il disturbo causato alla vita pubblica ordinaria non supera quel livello minimo che consegue al normale esercizio del diritto di riunione pacifica in un luogo pubblico[17]. Ed è proprio qui che risiede il punto di contatto con la vicenda bolognese: la manifestazione svoltasi al mattino in una delle principali piazze della città non era stata oggetto di autorizzazione e aveva come obiettivo quello di far spostare in un’altra sede un comizio che si sarebbe svolto nel medesimo luogo poco più tardi. Analogamente a quanto accaduto nel caso Laguna Guzman, quindi, sebbene il difetto di autorizzazione allo svolgimento del presidio non potesse giustificarsi in considerazione del contestuale svolgimento di un evento politico, comunque non sussistevano legittime ragioni di ordine pubblico per disperdere l’assembramento.
Così, il Tribunale di Bologna, recependo il ragionamento svolto dai giudici di Strasburgo, ha ritenuto che il presidio spontaneo della mattina, che stava manifestando pacificamente esponendo striscioni e urlando slogan antifascisti, non potesse essere sciolto dalle forze dell’ordine, le quali, intervenendo con modalità violente, avevano dunque posto in essere un atto arbitrario.
Muovendo da questa prospettiva, l’interpretazione convenzionale della libertà di riunione sancita dall’art. 11 CEDU si riflette sui contorni applicativi dell’art. 393-bis c.p., rendendo scriminate le condotte di resistenza, violenza, oltraggio che appaiano causalmente riconducibili ad atti di arbitraria violenza posti in essere da parte dei pubblici ufficiali nell’ambito di manifestazioni di piazza.
Proprio per tali ragioni, ci sembra che la pronuncia in commento offra un’interpretazione innovativa e convenzionalmente orientata dell’esimente prevista dall’art. 393-bis c.p., che si auspica possa trovare recepimento anche da parte della giurisprudenza di legittimità, nella prospettiva di rafforzare le tutele all’esercizio di una delle libertà fondamentali che maggiormente definiscono il proprium delle società democratiche e pluraliste.
Note:
[1] I capi d’imputazione riguardano nello specifico C.A, C.S., C.E., L.F., per i reati di cui agli artt. 81 co.2, 110, 337, 339 co.2 e 3, per essersi opposti con violenza all’intervento delle forze dell’ordine finalizzato a liberare la piazza per lo svolgimento di un comizio; C.A, C.S., C.E., L.F., per i reati di cui agli artt. 81 co.2, 110, 112 n.1, 582-585-576 n.1-61 n. 2 e 10 per aver cagionato lesioni personali a tre agenti; C.E. e L.F. per i reati di cui agli artt. 61 n.2, 81 co.2, 110, 112 n.1 e 674 c.p., perché con violenza lanciavano cose all’indirizzo degli agenti; C.A., per il reato di cui all’art. 4 co.5 e 9 l. 110 del 1975 perché portava in una riunione pubblica l’asta di un cartello; C.A. e C.S. per i reati di cui agli artt. 61 n.2, 81 co.2, 110, 112 n.1, c.p. e art. 5 l. 152 del 1975, poiché usavano mezzi atti a rendere difficoltoso il riconoscimento.
[2] Gli altri due imputati, C.E. e L.F., in relazione alla prima parte di condotte verificatesi durante la manifestazione del mattino, vengono assolti per non aver commesso il fatto, perché non erano presenti.
[3] C.S e C.A vengono inoltre assolti per le lesioni a danno degli agenti per non aver commesso il fatto, poiché risulta accertato che tali fatti si verificarono durante la manifestazione del tardo pomeriggio, e per l’utilizzo di mezzi atti a rendere difficoltoso il riconoscimento perché il fatto non sussiste, poiché erano a volto scoperto; C.A. viene assolto per il porto di armi od oggetti atti ad offendere perché il fatto non sussiste, essendo giustificato il porto dell’asta di un cartello con scritto uno slogan nell’ambito di una manifestazione.
[4] Cfr. pag. 5 sent. in commento.
[5] Cfr. pag. 9 sent. in commento.
[6] Vengono richiamate, sul punto, Cass. 3 dicembre 2015, n. 1940; Cass. 25 luglio 2017, n. 47004; Cass. 27 aprile 2018 n. 54424.
[7] Cfr. pag. 13 sent. in commento.
[8] Un’altra rilevante questione, ampiamente dibattuta, è quella che concerne la natura giuridica dell’art. 393-bis c.p., che la sentenza in commento, aderendo alla posizione maggioritaria in dottrina e in giurisprudenza, qualifica come causa di giustificazione, in cui è codificato un diritto soggettivo “di resistenza” del privato di fronte ad un comportamento illegittimo di un pubblico ufficiale (cfr. Cass. n. 25314 del 20 maggio 2021; Cass n. 27766 del 16 settembre 2020; viene ritenuta causa di giustificazione anche da Corte cost., sentenza n. 140 del 1998). Altra parte della dottrina ritiene che si tratti di una scusante, basata su una valutazione d’inesigibilità di una condotta alternativa da parte del privato che sia vittima di un comportamento arbitrario da parte di un pubblico ufficiale (cfr. Marinucci-Dolcini-Gatta, Manuale di Diritto penale. Parte generale, X ed., pag. 427). Secondo una terza impostazione, minoritaria in dottrina, si tratterebbe di una causa di non punibilità, basata su ragioni di opportunità, ovvero di non meritevolezza della pena nel caso di reazione oltraggiosa del privato successiva all’atto arbitrario posto in essere dal pubblico ufficiale (cfr. E. Gallo, Una definizione degli “atti arbitrari” del pubblico ufficiale che convince, pur aprendo a riflessioni complesse, in Giur. Cost., 1998, pag. 1097). Vi sono delle ricadute pratiche dell’accoglimento dell’una o dell’altra teoria: ritenere l’art. 393-bis c.p. quale causa di giustificazione comporta la sua rilevanza oggettiva e putativa, ai sensi dell’art. 59 co. co. 1 e 4 c.p., nonché la possibilità di applicazione analogica; qualificarlo come scusante ne comporta la rilevanza soggettiva e anche putativa, ma non sarebbe possibile applicarla analogicamente (anche se sul punto vanno tenuti in considerazione i principi affermati da Cass. S.U. n. 10381 del 2021 in relazione all’art. 384 c.p.); infine, considerarlo come causa di non punibilità comporterebbe al contempo l’esclusione della rilevanza putativa e della possibilità di applicazione analogica, ma rileverebbe oggettivamente.
[9] Cfr. C. eur. dir. uomo, sez. IV, 9 aprile 2002, Cisse c. Francia, § 50; Oya Ataman c.Turchia, C. eur. dir. uomo, sez. II, 5 dicembre 2006., §§ 37-39.
[10] Secondo la Corte sono da ritenersi sproporzionate sanzioni detentive e pecuniarie vicino al massimo edittale ma si registrano alcune oscillazioni rispetto alle sanzioni di minore intensità: in alcuni casi la Corte ha ritenuto sproporzionate sanzioni amministrative (Hyde Park e altri c. Moldavia, cit.) e pene pecuniarie di minima entità (C. eur. dir. uomo, sez. IV, 17 novembre 2009, Rai e Evans c. Regno Unito), mentre in altri casi ha ritenuto inadeguato ogni tipo di sanzione (C. eur. dir. uomo, sez. II, 14 ottobre 2014, Yilmaz Yildiz), Cfr. M. Mariotti, Sub art. 11, in Corte di Strasburgo e giustizia penale, a cura di G. Ubertis e F. Viganò, Torino, 2016, p. 310.
[11] Art. 11 par. 2 CEDU: “L’esercizio di questi diritti non può costituire oggetto di altre restrizioni oltre quelle che, stabilite per legge, costituiscono misure necessarie, in una società democratica, per la sicurezza nazionale, l’ordine pubblico, la difesa dell’ordine e la prevenzione dei disordini e dei reati, per la protezione della salute o della morale o per la protezione dei diritti e delle libertà altrui.”.
[12] Cfr., C. eur. dir. uomo, sez. II, Oya Ataman c. Turchia, 5 dicembre 2006; C. eur. dir. uomo., sez. II, 17 luglio 2007, Bukta e altri c. Ungheria, § 35, in cui si è ritenuto prevalente il diritto del ricorrente e degli altri partecipanti a manifestare pacificamente, pur in assenza di una preventiva autorizzazione, in ragione del fatto che la notizia della partecipazione del primo ministro romeno ad un evento pubblico era stata annunciata solo il giorno prima; per contro, nella sentenza C. eur. dir. uomo., sez. II, 7 ottobre 2008, Éva Molnár c. Ungheria, §§ 37-38, la Corte ha ritenuto che la procedura di autorizzazione e la conseguente necessità di dilazionare la manifestazione non ne avrebbero vanificato il messaggio, alla luce del fatto che la protesta riguardava delle elezioni svoltesi due mesi prima della stessa.
[13] Cfr. A. Guazzarotti, Sub art. 11, in, Commentario breve alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo, a cura di S. Bartole – P. De Sena – V. Zagrebelsky, Padova, 2012, p. 427, in cui si fa riferimento alle oscillazioni dei giudici di Strasburgo nel tentativo di distinguere i casi in cui fosse più o meno possibile per le autorità disperdere una manifestazione pacifica non autorizzata, rilevando come la Corte, in realtà, mescoli i casi in cui è stata legittimamente applicata una sanzione agli organizzatori per aver omesso il preavviso, con quelli in cui la riunione è stata sciolta (C. eur. dir. uomo, sez. IV, 2 settembre 2010, Hyde Park e altri c. Moldavia nn. 5 e 6).
[14] Cfr., M. Mariotti, Sub art. 11, cit.; nella giurisprudenza convenzionale, C. eur. dir. uomo., sez. II, 17 luglio 2007, Bukta e altri c. Ungheria, § 34; C. eur. dir. uomo., sez. II, 24 ottobre 2012, Fáber c. Ungheria, § 49; C. eur. dir. uomo, Grande Camera, 15 ottobre 2015, Kudrevičius e altri c. Lituania, §§ 147-54.
[15] Il grado di tolleranza nei confronti di un’assemblea irregolare dipende dalle circostanze specifiche, quali in particolare la durata e l’entità del disturbo causato all’ordine pubblico, e dalla circostanza che sia stata data ai partecipanti l’opportunità di manifestare sufficientemente le loro opinioni, cfr. C. eur. dir. uomo, sez. III, 5 gennaio 2016, Frumkin c. Russia, § 97.
[16] Cfr., Kudrevičius e altri c. Lituania, cit., § 150; Oya Ataman c. Turchia, cit., §§ 41-42; Bukta e altri c. Ungheria, cit., § 34; C. eur. dir. uomo, sez. I, 20 aprile 2015, Navalnyy e Yashin c. Russia, § 63.
[17] Cfr. Laguna Guzman c. Spagna, cit., § 50-52; per ulteriori approfondimenti sui fatti da cui trae origine la sentenza Laguna Guzman c. Spagna, sia consentito rinviare a C. Cataneo, L’intervento dell’autorità di pubblica sicurezza al fine di disperdere una riunione pacifica non autorizzata integra una violazione dell’art. 11 CEDU, in Riv. it. dir. e proc. pen., fasc. 1/2021, p. 311.