Gli anni 70 non si processano!

Il bombardamento mediatico di revisione della storia che sta facendo carta straccia di quella contemporanea del 900 con gli arresti di Parigi, impone di soffermarci a riflettere su quelle che sono le vere ragioni dell’operazione repressiva “ombre rosse” e sul filo nero che lega ieri, oggi e domani.

Lo facciamo oggi con il contributo di Silvia De Bernardinis e di un articolo di Frank Cimini

Contro chi e cosa lottavano i militanti delle organizzazioni combattenti degli anni Settanta, che per i dati forniti dallo Stato stesso non sono liquidabili come sparuto gruppo di assassini, e soprattutto che stavano all’interno di uno scontro sociale che viene sistematicamente omesso nella narrazione “condivisa”?

Dall’altra parte c’era chi aveva compiuto stragi, defenestrato (a proposito, chi è stato?), depredato risorse ed esistenze, fatto della politica una compravendita di favori, avvelenato d’amianto, ucciso di fame, di lavoro, rischiando ben poco e senza mai risponderne direttamente di persona. Contro quelli che, vittoriosi allora, di emergenza in emergenza ci hanno portato ad un oggi che fa orrore, che puzza di sopraffazione e morte. Contro questo lottavano. Il mondo di oggi è forse meno violento di quello di ieri?

Eppure la “violenza degli anni ’70” viene narrata come la più feroce. La mostrificazione creata ad hoc sui protagonisti dell’ultimo scontro di classe del XX secolo – dai folli omicidi isolati dalla società, agli infiltrati, agli sciocchi eterodiretti – serve a coprire il vero nervo scoperto di quel periodo storico, e cioè, la messa in discussione, pratica e teorica, del monopolio della violenza dello Stato da parte delle classi subalterne. La violenza degli anni ’70 che non si vuole amnistiare è la violenza dei dominati verso i dominanti, lo scontro di classe.

Silvia De Bernardinis