A NOVE MESI DALLA STRAGE DI STATO NELLE CARCERI
Durante le rivolte di marzo nelle carceri, lo Stato italiano ha compiuto una strage: 14 detenuti vengono ritrovati morti nelle patrie galere
Tredici di loro dentro i corridoi dei penitenziari di Modena, Alessandria, Verona, Ascoli, Parma, Bologna, Rieti; uno di loro morirà successivamente dopo il ricovero nell’ospedale di Rieti
Non una parola pronunciata dallo Stato su queste morti nel corso dei mesi, nemmeno alle famiglie, avvisate – e forse ad oggi nemmeno tutte – a distanza di tempo, dagli avvocati che seguivano le vicende legali dei propri cari detenuti
Se questi morti ad oggi hanno un nome è per opera di chi individualmente si è attivato per ricercarli e renderli noti
Quello che si è visto fino a qui, non è che un copione degno delle peggiori dittature: insabbiare l’accaduto, costruire una verità ufficiale rimescolando qualche carta, trovare qualcuno da incolpare (i morti stessi, detenuti e tossici, oppure la regia esterna dei mafiosi, o degli anarchici), far sparire i testimoni o terrorizzarli a morte
Un copione che si è già spesso ripetuto nella storia della democratica Italia: dalle stragi di Stato note, seppur mai ufficialmente riconosciute come tali, alle morti in carcere o nei CPR, da quella di Cucchi sino a quella di Vakhtang Enukidze, ucciso dalla Polizia a gennaio di quest’anno nel CPR di Gradisca d’Isonzo
Sappiamo bene che le inchieste ufficiali condotte dalle Procure di Stato non diranno MAI la verità su queste morti, già in parte liquidate infatti con ipotesi di suicidio, più di preciso avvenuto per tutti con un’overdose di farmaci
Ne siamo convinte, non solo perché non abbiamo fiducia nello Stato e perché ci è nemica la sua concezione di giustizia
Ma perché di fronte a quanto accaduto sarebbe troppo ingenuo, addirittura contraddittorio, pensare possibile che uno Stato possa arrivare a condannare se stesso con l’accusa di strage nei confronti dei detenuti, la più grande dal dopoguerra
Le torture a suon di pestaggi e umiliazioni e le minacce inferte nei confronti di chi ha assistito a quel massacro e ne è sopravvissuto sono un monito chiaro, soprattutto nei confronti di chi è ancora detenuto e si trova quindi ancora tra le mani dei suoi aguzzini
Le inchieste delle procure e i provvedimenti disciplinari volti a punire i rivoltosi di tutte le carceri per quelle giornate, non fanno che riprodurre la violenza di quelle torture, contribuendo perfino a legittimarle
Per ora le inchieste note sono quelle di Bologna, Modena, Frosinone, Milano Opera, Milano San Vittore e Roma Rebibbia, con accuse a vario titolo di devastazione e saccheggio, sequestro, incendio, resistenza e lesioni a pubblico ufficiale
A queste ritorsioni punitive, si aggiunge poi l’espressa esclusione dai benefici delle pene alternative legate all’emergenza Covid in modo specifico per coloro, tra gli altri, che hanno preso parte alle rivolte di marzo
Il messaggio è chiaro: per Bonafede e i suoi alleati, chi non tiene la testa bassa, in galera ci può morire
Chi è accusato e inquisito dallo Stato per essersi rivoltato trova tutta la nostra solidarietà e, ora più che mai, questo si rende necessario: non soltanto perché quelle rivolte erano comprensibili e giuste, come d’altronde crediamo lo sia ogni atto di ribellione fatto per conquistarsi la libertà da una galera
Ma ancor di più, in tempo di pandemia, perché scatenate dalla necessità dei detenuti di salvarsi la pelle dalla diffusione incontrollata del COVID negli istituti penitenziari e dalla rabbia per l’adozione di misure (blocco dei colloqui in primis) che nulla avevano a che vedere con la tutela della salute
La diffusione del virus nelle carceri, causata dalle nulle o minime misure di sicurezza sanitaria adottate, dagli ingressi e uscite di secondini e altre figure e dalla deliberata scelta di non concedere misure alternative ad ampio raggio, ha provocato il dilagare del virus e, secondo i dati ufficiali, 13 morti per COVID accertate da aprile ad oggi
Non esprimere aperta solidarietà verso chi si è rivoltato e verso chi continua a farlo, significherebbe legittimare il massacro avvenuto durante e dopo le rivolte di marzo e riconoscere allo Stato la licenza di uccidere o lasciar morire chi si trova carcerato, quando ciò gli serve a difendere le proprie prigioni
A nove mesi da quel 7 marzo, le carceri continuano a rimanere sovraffollate e nella metà degli istituti italiani si registrano veri e propri focolai del virus, la situazione sanitaria continua a essere drammatica e nel “decreto Ristori” di ottobre Bonafede replica le stesse misure farsa del “Cura Italia” di marzo: di nuovo, se già il numero delle persone detenute che potrebbero beneficiare di pene alternative è ristretto, nei fatti sono ancor di meno quelle che escono
Riprendono le proteste in diverse carceri, in particolare nelle forme delle battiture e dello sciopero della fame
Se in questo interminabile anno, si è cominciato a parlare di carcere e alcuni provvedimenti sulla situazione, seppur insufficienti, sono stati adottati, ciò è accaduto soltanto perché qualcuno a marzo si è rivoltato
Sarebbe troppo comodo e incredibilmente ipocrita non volerlo ammettere o fingere di dimenticarlo
Abbiamo sempre sostenuto convintamente che se anche 14 persone fossero morte per overdose, la responsabilità sarebbe comunque stata chiara: quella di uno Stato che ti abitua, in carcere, all’assunzione di una pillola quotidiana, che ti infligge quotidianamente la sua dose di disagio psichico e sofferenza e che ti rende, là dentro, tossicodipendente
Proprio come accadeva nel carcere di Modena dove peraltro, proprio nei giorni prima della rivolta e in coincidenza con il DPCM che disponeva la chiusura a doppia mandata delle carceri e dei colloqui con i familiari, era circolata la notizia dei primi detenuti positivi dentro al carcere, uno dei più sovraffollati d’Italia
Nonostante il terrore inferto dallo Stato per mettere tutti a tacere, alcuni prigionieri, con un atto estremo di coraggio, hanno deciso di rompere il muro di silenzio fatto calare su queste morti
Alle loro voci, che raccontano la verità su quanto accaduto l’8 marzo 2020 al Sant’ Anna, è stato dato pubblicamente spazio in piazza a Modena per la prima volta il 3 ottobre e il 7 novembre
“Quando è arrivato il corona c’era un uomo malato e non volevano farlo uscire e hanno vietato di farci vedere i famigliari
Dopo ciò è successa una rivoluzione e hanno bruciato il carcere e sono entrate le forze speciali e hanno iniziato a sparare
Sono morte 12 persone di cui 2 miei amici, sono morti davanti ai miei occhi
Sono ancora sotto shock
Io ero scappato fino al tetto del carcere così che non mi sparassero
Dopo ci hanno presi tutti e ci hanno messo in una camera e ci hanno tolto tutti i vestiti e hanno iniziato a picchiarci dandoci schiaffi e calci
Dopo ci hanno ridato i vestiti e ci hanno messo in fila e ci hanno picchiato ancora con il manganello
In quel momento ho capito che ci stavano per portare in un altro carcere
Da quante botte abbiamo preso che mi hanno mandato in un altro carcere senza scarpe
Poi quando siamo arrivati al carcere ci hanno picchiati ancora
Alla fine ho finito di scontare la mia pena
Io sono molto scioccato per i miei amici
Non sono riuscito a fare denuncia contro i carabinieri perché loro sono troppo forti
” Altri occhi, altre voci hanno meglio precisato di chi fossero le braccia che hanno puntato le armi contro i detenuti, sparando e uccidendo: della polizia penitenziaria e delle centinaia di carabinieri in antisommossa, accorsi al Sant’Anna per sedare la rivolta
I media ufficiali, complici del silenzio venutosi a creare intorno a questa vicenda e della creazione di una verità costruita ad hoc per non far trapelare i fatti, mai hanno fatto menzione di questi non trascurabili dettagli nei giorni successivi alle rivolte
Eppure gli spari, anche dai video circolati, si sono sentiti in modo chiaro e distinto
Solo dopo diversi mesi, due giornaliste hanno pubblicato testimonianze anonime giunte da prigionieri testimoni del massacro modenese che parlavano di detenuti uccisi e non morti di overdose
La Procura ha aperto un fascicolo per “omicidio colposo”, chiamando le due giornaliste a testimoniare
È enorme la responsabilità che i media hanno avuto nella distorsione della verità di quanto accaduto in quei giorni
Quella che da tv e giornali è stata raccontata come una follia barbara scatenatasi nel penitenziario di Modena (e anche nelle altre carceri d’Italia dove ci sono state proteste e rivolte), ha in realtà origini ben precise
Chi era in quelle celle prima e durante la rivolta lo sa bene
I primi casi di detenuti positivi dentro al Sant’Anna, infatti, non sono stati nient’altro che la classica goccia che ha fatto traboccare il vaso
Un vaso da tempo pieno di una sanità spesso assente all’interno degli istituti
I media hanno parlato di morti per overdose
Le voci di chi era presente testimoniano una razzia di farmaci in infermeria da parte di molti, ma fanno emergere anche l’indiscutibile responsabilità delle guardie che, noncuranti del palese stato di alterazione psicofisica di queste persone, hanno infierito sui loro corpi che giacevano inermi a terra, riempiendoli di manganellate in faccia e in testa
Probabilmente, senza questo barbaro regolamento di conti messo in atto da polizia penitenziaria e carabinieri in antisommossa, queste persone non sarebbero morte
Arrivato il momento della “resa”, decine di detenuti sono stati ammassati tra le due porte carraie del carcere, sono stati picchiati a sangue, lasciati in maglietta e senza scarpe
In queste condizioni sono stati caricati sui furgoni e trasferiti a decine verso altre carceri
Al loro arrivo nelle nuove destinazioni l’accoglienza è stata la medesima: squadre di penitenziaria con casco, scudo e manganello
In alcune “nuove destinazioni” questo trattamento brutale e vendicativo è proseguito per giorni dopo l’arrivo
In particolare c’è chi racconta di un carcere dove i nuovi giunti da Modena hanno preso botte e sono stati lasciati senza scarpe per oltre 10 giorni, denunciando poi il tutto ad un ben istituzionalizzato garante dei diritti dei detenuti
Costui, pur avendo visto con i suoi occhi le condizioni dei detenuti trasferiti, non ha detto nulla
Evidentemente questo è il suo ruolo
Salvatore Piscitelli è forse il nome che più è stato menzionato dai giornali negli scorsi mesi tra quelli dei detenuti uccisi durante e in seguito alla rivolta di Modena
Il suo corpo è stato cremato e le fonti ufficiali, poi riprese anche dal garante stesso, parlano di decesso avvenuto prima del suo ingresso nel carcere di Ascoli; altre sostengono che la morte sia avvenuta in ospedale, al cui ingresso Salvatore non avrebbe presentato lesioni compatibili con violenze o segni di intossicazioni
Ma chi era con lui racconta che, all’arrivo ad Ascoli, Salvatore stava talmente male che gli altri detenuti hanno dovuto fargli il letto mentre era accasciato a terra
La mattina dopo, i detenuti hanno sollecitato le guardie dalle 8
30 alle 10 per fare arrivare il medico che non è mai arrivato
Alle 10
30 i detenuti che erano con Salvatore hanno chiamato nuovamente le guardie, dicendo che era morto
Constatata la morte, gli agenti hanno spostato il suo compagno in un’altra cella, hanno messo il corpo di Salvatore in un lenzuolo e lo hanno portato via
Come si può credere che questi dettagli siano frutto di fantasia? Come si può non attribuire una responsabilità alle botte volutamente assestate dalle guardie su corpi inermi o alla voluta noncuranza nell’assistenza di coloro che mostravano già enorme sofferenza data dai pestaggi e dalle sostanze ingerite? Come si può liquidare tutto in “morti per overdose” anche laddove le autopsie hanno confermato questa versione? Per le inchieste delle Procure non hanno valore le testimonianze che raccontano verità in netto contrasto con quelle ufficiali, proprio in quanto anonime e forse anche proprio perché smentiscono del tutto le versioni emerse finora; ma per tutte/i noi ce l’hanno eccome
Comprendiamo bene le ragioni tutelanti di quegli anonimati e sappiamo a chi credere, sappiamo da quale parte stare
Spetta a noi dare eco a queste voci e supportare in ogni modo chiunque troverà il coraggio di farlo, pur nella consapevolezza che ciò che è a repentaglio è la sua propria vita
Nonostante sia stato il luogo di un massacro, una parte del carcere di Modena è ancora aperta e al suo interno sono ad oggi rinchiuse in regime a celle chiuse circa 200 persone nella sezione maschile, alcune delle quali da marzo stesso
Si hanno notizie di nuovi contagi al suo interno, ma ciononostante le risorse investite dal DAP sono state destinate alla ristrutturazione delle sezioni rese inagibili dalle rivolte, ai sistemi di videosorveglianza e alle nuove ingenti dotazioni di manganelli, scudi, caschi, giubbotti antiproiettile
Negli ultimi mesi, decine di solidali sono tornate in diverse occasioni sotto quelle mura, per portare ai detenuti solidarietà, vicinanza e condividere con loro quanto avvenuto nei giorni di marzo all’interno del penitenziario di Modena e di altre città
Siamo consapevoli che lo Stato possieda ogni strumento per provare ad intimidirci e ad occultare la verità
Tuttavia è fondamentale che essa emerga
Questa responsabilità spetta a chiunque abbia una coscienza, perchè ciò che è in gioco non è solo la restituzione di una verità storica, che già sarebbe molto; è in gioco la tutela della vita di ogni persona che, qualora rinchiusa dietro le sbarre, non tenga la testa chinata di fronte alle quotidiane angherie delle amministrazioni penitenziarie, alla violenza dei secondini, agli omicidi perpetrati da questi ultimi e dalle altre divise
Per questo motivo non possiamo tacere e ribadiamo, ancor più in occasione dell’anniversario della strage di Piazza Fontana, che stragista è lo Stato