Carceri, rapporto di Antigone: “Nel 2020 già 34 suicidi”

Da adnkronos

In carcere nel 2019 ci si è tolti la vita 13,5 volte di più che all’esterno. Nel 2019 sono stati 53 in totale i suicidi negli istituti penitenziari italiani per un tasso di 8,7 su 10.000 detenuti mediamente presenti, a fronte di un tasso nel Paese di 0,65 suicidi su 10.000 abitanti. Secondo il Garante nazionale sono 34 i suicidi (18 italiani e 12 stranieri, su quattro non ci sono dati) dall’inizio del 2020 fino al 1 agosto (l’anno scorso in questo periodo erano stati 26), riporta il rapporto di Antigone di metà anno ‘Il carcere alla prova della fase 2’. Il 20% di loro (6) aveva fra i 20 e i 29 anni (i due più giovani ne avevano solo 23), il 43% (13) ne aveva fra i 30 e i 39, per entrambe le fasce d’età 40-49 e 50-59 troviamo il 17% (5 e 5) dei suicidi, il detenuto più anziano aveva 60 anni.

Il 40% (12) dei suicidi è avvenuto in un istituto del nord Italia, il 36% (11) al sud e il 23% (7) al centro; in tre istituti sono avvenuti due suicidi: Como, Napoli Poggioreale e Santa Maria Capua Vetere. A gennaio, marzo e aprile sono avvenuti 9 suicidi (3 per ciascun mese), a febbraio e a luglio ne sono stati commessi 12 (6 per ciascun mese) mentre a maggio e a giugno ne sono avvenuti rispettivamente 4 e 5. Il metodo prevalente per togliersi la vita è rimasto quello dell’impiccamento (26 persone).

Ogni storia di suicidio è una storia di disperazione individuale. Ogni storia di suicidio non va risolta con il capro espiatorio, cioè prendersela con chi 10 minuti prima non ha fatto l’ultimo controllo: il poliziotto di sezione quasi sempre non ha nessuna responsabilità. Non ci dobbiamo accanire con chi non ha impedito il suicidio ma con chi non ha tolto la voglia di suicidarsi, che è ben altra cosa”, sottolinea Patrizio Gonnella, presidente dell’Associazione Antigone, durante la presentazione del rapporto citando poi il caso di Jhonny Cirillo, il 25enne rapper di Scafati che si è suicidato nel carcere di Furoni a Salerno. Il ragazzo era stato arrestato dopo una rapina in una farmacia. “Il giovane non era un pericolo per la sicurezza, nel suo caso il carcere è stata la risposta burocratica al disagio”, aggiunge Gonnella dedicando il rapporto a lui e la sua famiglia “nella speranza che in futuro si possano prendere in carico le storie, il disagio. Che il sistema si interroghi intorno alla sofferenza”.

SOVRAFFOLLAMENTO AL 106% – Stando a quanto emerge dal rapporto di Antigone anche a fine luglio è rimasto sostanzialmente stabile il numero dei detenuti presenti nelle carceri italiane che sono 53.619 (a fine aprile erano 53.904). Diminuisce, anche se di poco, sia in maniera assoluta che percentuale, la presenza degli stranieri che risultano essere il 32,6% del totale dei detenuti. Nonostante l’emergenza coronavirus abbia portato ad una riduzione del numero delle madri detenute con i loro figli con meno di tre anni, si trovano ancora reclusi 33 bambini con le loro 31 madri (15 straniere e 16 italiane). Otto bambini si trovano a Torino, 6 a Rebibbia femminile e 7 nell’Icam di Lauro, in Campania.

Il tasso di affollamento ufficiale, spiega Antigone, si ferma per ora al 106,1% (era del 119,4% un anno fa) ma in ben 24 istituti supera ancora il 140% ed in 3 si supera il 170% (Taranto con il 177,8%, Larino con il 178,9%, Latina con il 197,4%). Il reale tasso di affollamento nazionale è inoltre superiore a quello ufficiale in quanto alcune migliaia di posti letto non sono attualmente disponibili a causa della chiusura dei relativi reparti. In un anno le presenze sono calate in media dell’11,7% ma il dato a livello regionale è molto disomogeneo: -19,8% in Emilia-Romagna, -15,2% in Campania, -13,9% in Lombardia, -11,0% in Piemonte, -7,4% in Sicilia, -7,3% in Veneto. Le Marche sono l’unica regione in Italia in cui la popolazione detenuta è nell’ultimo anno aumentata, con una crescita dell’1,1%.

Il calo del numero dei detenuti, in virtù delle misure atte a contenere i numeri della popolazione detenuta a contrasto della diffusione del coronavirus in carcere, ha inciso in maniera superiore alla media per donne e stranieri. Le donne detenute sono oggi 2.248, il 4,2% dei presenti. Un anno fa erano il 4,4%: il calo di questi mesi ha inciso su di loro in misura superiore alla media dei detenuti. Il 75% è allocato in sezioni femminili all’interno di carceri maschili, “cosa che limita lo svolgimento di attività”. Le straniere sono 793, il 35% del totale delle donne detenute.

Complessivamente la popolazione carceraria straniera è pari oggi a 17.448 unità, il 32,5% dei presenti. Un anno fa gli stranieri erano il 33,3%. Nonostante essi notoriamente incontrino maggiore difficoltà ad accedere alle misure alternative e per loro sia più frequente il ricorso alla custodia cautelare, del calo di presenze di questi mesi, che ha riguardato essenzialmente i reati meno gravi, essi hanno beneficiato in proporzione più degli italiani.

EVENTI CRITICI – Trainati dalle rivolte del mese di marzo crescono i numeri degli eventi critici. I dati al 30 aprile 2020 indicano un forte aumento – causato dagli eventi dei primi mesi del 2020 – delle rivolte, che passano dalle 2 degli anni scorsi alle 37 di quest’anno. Per lo stesso motivo gli isolamenti sanitari (1.567) sono addirittura quasi quattro volte il numero degli isolamenti sanitari messi in atto nel corso di tutto l’anno precedente (425). Lo stesso è valido per le manifestazioni di protesta collettiva (859) che sono i tre quarti di tutte le manifestazioni di protesta collettiva dell’anno scorso (1.188).

DETENZIONE DOMICILIARE E BRACCIALETTI ELETTRONICI – Al 20 maggio le persone andate in detenzione domiciliare durante l’emergenza sanitaria erano 3.379. Di queste, a 975 era stato applicato il braccialetto elettronico. “I braccialetti elettronici diventati operativi negli ultimi mesi sono molti meno di quelli promessi nell’accordo tra ministeri dell’Interno e della Giustizia (300 a settimana), a conferma che si tratti di una misura costosa e di difficile applicazione”, osserva Antigone. I semiliberi a cui è stata estesa la licenza sono stati 561.

Il rapporto di Antigone mette inoltre in evidenza che in carcere ci sono ancora oltre 13.000 persone con un residuo pena per cui potrebbero accedere ad una misura alternativa: “Salta all’occhio il numero di persone detenute che per preclusioni di varia natura permangono in carcere nonostante un residuo pena basso. Al 20 maggio in 962 avevano una condanna inferiore a un anno. Al 30 aprile 12.519 persone detenute dovevano scontare una pena o un residuo pena inferiore ai 3 anni”.

COVID – Dal rapporto emerge che i casi totali di contagio da coronavirus nelle carceri italiane fino al 7 luglio (dato disponibile più recente) sono stati 287 con un picco massimo nella stessa giornata di 161. Un numero contenuto, ma da non sottovalutare: in rapporto al totale della popolazione detenuta è infatti superiore, sebbene di poco, al tasso di contagio nel resto del Paese.

Focolai si sono riscontrati a Saluzzo, Torino, Lodi (poi trasferiti a Milano), Voghera, Piacenza, Bologna e Verona. Lunghi alcuni decorsi della malattia, che hanno raggiunto anche i tre mesi. Per il coronavirus hanno perso la vita in tutto 4 detenuti, 2 agenti di polizia e due medici penitenziari.

“Nel mese di maggio – sottolinea Patrizio Gonnella – avevamo raccontato l’impatto che la pandemia di Covid-19 aveva avuto sul nostro sistema carcerario. Con questo rapporto di metà anno vogliamo invece illustrare cosa sta accadendo e se la fase 2 è entrata negli istituti di pena e in che modo”.

“Per evitare che il Covid-19 trasformi le carceri in Rsa, dobbiamo assolutamente evitare che a settembre siano i nuovi focolai. Per questo è importante non fermarsi nelle politiche dirette a ridurre la popolazione detenuta – sottolinea – Anche i maggiori esperti di politica criminale e penitenziaria sanno che investire nelle prospettive di reinserimento sociale e misure alternative è un grande antidoto anche per la sicurezza. E quindi auspico che da settembre si ragioni in modo costruttivo su come ridurre la popolazione detenuta affinché il distanziamento fisico sia assicurato”.

“STATO SI COSTITUISCA PARTE CIVILE IN PROCEDIMENTI PER CASI DI TORTURA” – “La tortura è un crimine contro l’umanità. Ma purtroppo abbiamo visto alcune dinamiche di abusi, violenza e tortura presenti un po’ a raffica ultimamente in alcuni istituti penitenziari. Quello che chiediamo alle istituzioni è di essere totalmente complici con una idea di legalità. Proibire e prevenire la tortura significa essere coerenti con la legge interna e internazionale. E’ importante che quando un procedimento va avanti, lo Stato nelle sue forme e con i suoi organismi si costituisca parte civile, perché in questo modo si dà un segnale forte” sottolinea il presidente Gonnella. “Per ridurre il tasso di sofferenza – prosegue – ci vuole uno Stato forte che rompa, che non si autoassolva, che per interrompere la retorica delle mele marce dia un segnale forte in termini di distanziamento”. Sono otto i procedimenti penali in corso per episodi di tortura che vedono implicati agenti della polizia penitenziaria.