Il carcere come questione maledetta. Delle ragioni per cui nella prima decade di marzo durante le rivolte morirono 15 detenuti si continua a non sapere nulla e gli inquirenti sul punto tacciono. La magistratura invece si fa viva sul versante opposto. La procura di Milano sulla rivolta che portò i reclusi a protestare sui tetti come non accadeva da anni ha chiuso le indagini e accusa 34 persone di devastazione, che inevitabilmente saranno processate. Ma come se ciò non bastasse la solidarietà ai detenuti e le lotte per mettere in discussione il carcere costano incriminazioni per associazione sovversiva finalizzata al terrorismo. È accaduto a Bologna dove 7 anarchici erano stati arrestati e poi scarcerati dal Riesame a distanza comunque di tre settimane. Nei prossimi giorni saranno depositate le motivazioni del provvedimento.
A Roma invece è andata diversamente. Su cinque militanti finiti in prigione uno solo è stato liberato. «Per fatti bagattellari come scritte sui muri volantini e persino presunti furti di cemento si contesta l’accusa di terrorismo – dice l’avvocato Eugenio Losco legale di Pierloreto Fallanca, l’unico liberato per insussistenza delle esigenze cautelari – accade che se contesti l’istituzione carceraria dall’interno come detenuto metti a rischio l’incolumità e anche la vita, come stiamo tragicamente verificando di questi tempi. Se fai la stessa cosa dall’esterno ti affibbiano l’etichetta di terrorista e ti mettono in galera». Secondo un altro legale, Ettore Grenci, «il Riesame di Roma per confermare le misure cautelari si è discostato dalla giurisprudenza della Cassazione che in materia di associazione sovversiva aveva fissato dei paletti ben precisi».