Se l’emergenza covid passa, restano, anzi, aumentano le leggi e i provvedimenti liberticidi. Ai vari decreti e pacchetti sicurezza si aggiungono misure emergenziali, sanzioni e controllo sociale sempre più capillare, dpcm per imporre il distanziamento sociale dalle lotte e l’assembramento sociale per il profitto dei padroni.
Sulla repressione delle lotte proletarie, con l’attacco preventivo al diritto di sciopero in occasione della giornata internazionale delle donne, di manifestazione e di organizzazione sindacale e politica, la borghesia si è organizzata invece per cancellare ogni forma di libertà di espressione, militarizzando ogni aspetto della vita sociale.
Ogni manifestazione di dissenso viene immediatamente punita, sia attraverso multe comminate a proletari già sfiniti dall’isolamento emergenziale e dalla mancanza di un salario, sia utilizzando l’arresto ed il carcere per punire la solidarietà proletaria.
Il diritto alla salute, preso a pretesto per governare il lockdown, lascia ora il posto all’unico diritto che si è inteso e s’intende tutelare, quello della sicurezza dei padroni, perché primario deve essere solo “lavorare per produrre profitto”.
Non si contano così le sanzioni, i licenziamenti punitivi su lavoratrici e lavoratori che si sono rifiutati di lavorare in condizioni di insicurezza, o che hanno osato solo denunciare la mancanza di dpi sul luogo di lavoro; le cariche, il controllo militare, la repressione poliziesca delle lotte operaie e sindacali, sulle manifestazioni e scioperi di lavoratori, disoccupati, migranti, pur se effettuate rispettando le regole sul distanziamento sociale e l’uso delle mascherine; i divieti assurdi, le misure “cautelari” imposte a lavoratrici e lavoratori precari, denunciati per aver difeso lavoratrici e lavoratori sfruttati, come successo a Bologna per le maschere bianche, con accuse gravissime, come tentata estorsione, diffamazione ecc.
Ma la repressione padronale delle lotte proletarie è andata ben oltre i limiti della cosiddetta “legalità”, con vere e proprie aggressioni criminali ai danni di lavoratori ribelli e delegati dei sindacati di base e di classe (ultimi esempi, l’episodio del bracciante di Terracina, picchiato e licenziato perché chiedeva una mascherina, oppure quello di Francesco Masella, delegato Slai Cobas s.c., vigliaccamente aggredito perché pretendeva il rispetto dei diritti dei lavoratori).
E anche sulla repressione prettamente politica ci sarebbe e c’è molto altro da dire, ma su questo ci viene incontro, ancora una volta, la procura di Bologna, che avvalora l’arresto di 12 compagne e compagni, accusati di associazione sovversiva, con la « strategica valenza preventiva, volta ad evitare che in eventuali ulteriori momenti di tensione sociale, scaturiti dalla particolare descritta situazione emergenziale, possano insediarsi altri momenti di più generale “campagna di lotta antistato” oggetto del citato programma criminoso di matrice anarchica, in quanto gli indagati avrebbero partecipato negli ultimi mesi di lockdown a sit-in e proteste in favore delle rivolte nelle carceri per il rischio coronavirus».
Ed è nelle carceri, lì dove il conflitto è esploso con maggiore radicalità, che si è abbattuta con maggior virulenza la repressione, causando il massacro di almeno 14 persone, torture, pestaggi, riduzione alla fame, umiliazioni, trasferimenti punitivi e ulteriore aggravamento delle già tragiche condizioni sanitarie e di sovraffollamento, che hanno favorito il diffondersi dell’epidemia nel silenzio più totale.
La legittima lotta dei detenuti per il diritto alla cura e all’affettività, per una vita dignitosa, la richiesta di amnistia/indulto sono stati soffocati nel sangue, nell’isolamento, nella desolidarizzazione e nella disinformazione, senza nessuno dei minimi benefici indicati nei Dpcm per l’emergenza coronavirus. Lo scatto di dignità, che le rivolte hanno restituito a quella discarica sociale chiamata carcere, affossato sempre dalla stessa arma, quella della paura.
Se 50 anni fa, in una fase storica di lotte di classe molto diversa dall’attuale, la controrivoluzione preventiva generava le carceri speciali, usava le bombe fasciste/di stato e istituiva il regime differenziato per disciplinare il conflitto sociale che dalle fabbriche esplodeva alle piazze, ai quartieri, alle carceri; dal lockdown in poi sembra che l’onda securitaria riparta proprio da lì, dalle carceri, da dove i detenuti del popolo, in gran parte immigrati, si sono ribellati alla condizione di ostaggi sacrificabili sull’altare della sicurezza nazionale per riversarsi fuori dalle gabbie e contaminare, con la giusta ribellione, il proletariato fuori. Ecco quindi la borghesia agitare lo spauracchio della paura nelle scarcerazioni facili, di una presunta regia mafiosa dietro le rivolte, quando i veri mafiosi sono tutti fuori ai posti di comando e continuano ad estorcere, anche senza lupara, denaro e disciplina ad un proletariato impoverito e impaurito. La logica è sempre la stessa, quella della paura, del terrorismo padronale.
Ma la paura è un asso nella manica che anche i proletari devono cominciare a vedere nelle proprie mani, per capire la propria forza, recuperare agibilità politica e sindacale, contrastare in maniera efficace le politiche di macelleria sociale in atto e in preparazione di questo marcio sistema capitalistico e lottare in tutti i campi in una prospettiva rivoluzionaria per il potere proletario.
E la lotta, a 360°, che si impone, non può prescindere da una mobilitazione specifica, unitaria e organizzata contro il carcere e la repressione sociale e politica, quali strumenti di controllo del sistema borghese sul proletariato. Non può prescindere dalla solidarietà di classe e militante nei confronti di tutti i prigionieri politici e dei proletari ribelli detenuti nelle carceri dell’imperialismo.
Per questo proponiamo di costruire per il 19 giugno, giornata di solidarietà internazionale con i prigionieri rivoluzionari, una mobilitazione nazionale contro carcere e repressione.
Soccorso rosso proletario
24 maggio 2020