Pestaggi nel carcere di San Gimignano: a giudizio 4 agenti per tortura

da osservatorio contro la repressione

Nel nostro Paese è il primo rinvio a giudizio per reato di tortura commesso dai pubblici ufficiali. Parliamo dei presunti pestaggi avvenuti nel carcere toscano di San Gimignano l’11 ottobre del 2018. Il giudice dell’udienza preliminare di Siena ha rinviato a giudizio quattro agenti penitenziari in servizio accusati di aver esercitato una inaudita violenza nei confronti del detenuto tunisino Meher. Nello stesso tempo condannato a 4 mesi un medico per omissioni d’atti di ufficio, perché non avrebbe visitato il detenuto quando era semi nudo e dolorante in cella di isolamento.«Parliamo di una importante pronuncia – spiega a Il Dubbio l’avvocato Michele Passione, parte civile per conto del Garante Nazionale delle persone private della libertà -, perché per la prima volta un reato di tortura viene sottoposto ad un vaglio di merito per condotte di pubblici ufficiali, questo perché la convenzione Onu ratificata dall’Italia consegna il particolare disvalore in fatto di reato quando commesso da pubblici ufficiali. Se lo Stato si dimostra inaffidabile – osserva sempre l’avvocato Passione -, è giusto che venga perseguito con un reato specifico qual è la tortura. Importante che il Garante e varie associazioni siano state in questa vicenda processuale accanto ai detenuti per non farli sentire soli».

Soddisfatte le difese di parte civile

Raggiunte da Il Dubbio anche le difese di parte civile per conto dell’Associazione Yairaiha e del detenuto, testimone dei fatti, che denunciò l’accaduto a San Gimignano tramite una lettera spedita all’associazione e che il nostro giornale ha pubblicato per la prima volta. «Oggettivamente un diverso risultato – spiegano le avvocate Caterina Calia, Simonetta Crisci e associazione Yairaiha -, alla luce degli elementi emersi dalle indagini, era difficilmente ipotizzabile. Le denunce sporte dai detenuti, le convergenti dichiarazioni delle persone sentite, la mole delle intercettazioni nonché le immagini tratte dai video di sorveglianza potevano avere una lettura unica e chiara. Il dato positivo è rappresentato, in ogni caso, dal fatto che in questa fase le richieste di accusa sono state interamente accolte ed il rinvio a giudizio è avvenuto per tutti gli imputati e rispetto a tutti i capi di imputazione. Il dibattimento potrà ancora meglio evidenziare come l’uso della violenza ingiustificata abbia integrato il reato di tortura. A nostro parere, l’uso della violenza, fisica e psicologica, da parte di appartenenti alle forze dell’ordine in servizio, nei confronti di una persona privata della libertà personale ed alla completa mercé delle figure che dovrebbero occuparsi non solo della sua sorveglianza ma anche della sua sicurezza, è una circostanza in grado di produrre uno stato di terrore ed afflizione, difficilmente descrivibile, anche in chi non viene immediatamente fatto oggetto dei medesimi ripetuti e brutali atti, ma assiste agli stessi come gli altri ristretti nella sezione di isolamento del carcere di San Gimignano».

Il detenuto sottoposto a un trattamento inumano e degradante

Ciò che sarebbe accaduto, tra l’altro supportato in parte anche dalle telecamere di video sorveglianza in servizio a San Gimignano, è ben descritto dalla pubblica accusa. Gli agenti avrebbero provocato al detenuto Meher acute sofferenze fisiche e psichiche  sottoponendolo ad un trattamento inumano e degradante, abusando dei poteri o comunque violando i doveri inerenti alla funzione o al servizio svolto, con il pretesto di doverlo trasferire da una cella ad un’altra «con condotte di violenza – sottolinea la procura – , di sopraffazione fisica e morale e comunque agendo con crudeltà e al solo scopo di intimidazione nei confronti del medesimo Meher e degli altri detenuti in isolamento».  Secondo l’accusa, il fatto sarebbe stato commesso attraverso una pluralità di condotte di violenza fisica, violenza psichica, ingiuria e gratuita umiliazione, avvalendosi della forza intimidatrice correlata al numero elevato di concorrenti.

Pugni, minacce  e insulti

Secondo quali modalità avrebbero commesso la tortura? Si sarebbero riuniti volontariamente in 15 unità, fra ispettori, assistenti e agenti, presso il reparto isolamento, dietro invito degli Ispettori e per poi dirigersi – tutti previamente indossando guanti di lattice – presso la cella di Meher. Gli agenti, cogliendolo di sorpresa, avrebbero preso per le braccia il detenuto che usciva dalla cella munito degli accessori per fare la doccia e lo avrebbero brutalmente sospinto verso il corridoio, facendogli anche perdere le ciabatte. Uno degli imputati, un assistente capo, facendosi largo tra i colleghi, gli avrebbe sferrato un pugno sulla testa. Poi lo avrebbe gettato a terra, circondandolo (in modo tale da creare una sorta di parziale schermo rispetto alle telecamere) e colpendolo con i piedi in varie parti del corpo. Il pubblico ministero poi sottolinea che l’agente avrebbe minacciato il detenuto che gemeva e gridava per la violenza che stava ricevendo. Lo avrebbe ingiuriato con frasi del seguente tenore: «Figlio di puttana!», «Perché non te ne torni al tuo paese»; «Non ti muovere o ti strangolo», «Ti ammazzo» e al tempo stesso avrebbe urlato contro tutti i detenuti presenti nel reparto: «infami, pezzi di merda, vi facciamo vedere chi comanda a San Gimignano! ».  Non solo, avrebbe rialzato da terra il detenuto e continuato a spintonarlo per farlo camminare per poi, di nuovo, gettarlo a terra.Tutto qui? No, Altri due agenti penitenziari, nel frattempo, avrebbero immobilizzato Meher mentre si trovava a terra, tenendolo rispettivamente per il braccio e per collo, ponendolo con la faccia a terra. Sempre l’assistente capo gli sarebbe montato addosso con il suo peso ponendogli un ginocchio sulla schiena all’altezza del rene sinistro. Lo avrebbe poi fatto rialzare togliendogli i pantaloni, per poi iniziare di nuovo a trascinarlo, mentre un altro agente lo avrebbe afferrato nuovamente per la gola e sempre l’assistente capo gli avrebbe torto un braccio dietro la schiena, per poi trascinarlo nella nuova cella. Ma non si sarebbero esaurite qui le violenze. Assieme ad altri cinque poliziotti, l’assistente capo avrebbe continuato a picchiarlo con schiaffi e pugni all’interno della cella di destinazione, per poi lasciarlo lì semi nudo e senza fornirgli coperte e il materasso della branda, almeno fino al giorno seguente.

Damiano Aliprandi